martedì 4 maggio 2010

Secessione e riassetti territoriali

Torna il tema della secessione. Ritorna con le proteste ciociare delle province di Latina e Frosinone, che il 17 maggio a Fossanova chiederanno il distacco da Roma, o meglio si augureranno che la secessione sia seguita e compiuta da tutte le province del Lazio, nei confronti della Capitale. Lo scopo di questa proposta è quello di creare una Regione Lazio senza Roma, che assorbe la maggior parte delle finanze. Da un lato la futura regione sarebbe meno importante di prima, non avendo con sè la Capitale, ma sarebbe certa che i finanziamenti che ad essa giungono saranno destinati effettivamente soltanto ai propri territori. Di questa nuova suddivisione territoriale dovrebbero farne parte (secondo gli ideatori) anche la fascia esterna della provincia di Roma, mentre la Capitale formerebbe, insieme al proprio hinterland, una regione a parte, con propri poteri (Roma Capitale o Città Metropolitana di Roma).
Non c'è dubbio che l'input a questa nuova iniziativa sia dovuto a suddivisioni di poltrone regionali effettuate a scapito della rappresentanza ciociara. Ma se dobbiamo parlare dei problemi veri dei territori, non è proprio la rappresentanza alla Pisana, o nelle altre sedi intermedie, la questione più importante e più sofferta per i territori periferici? Il motivo per cui noi qui a Magliano, altri a Leonessa, altri ancora in giro per il Lazio chiedono di entrare in una regione o provincia diversa è che nella regione o nella provincia d'origine non c'è rappresentanza, o non ce n'è abbastanza per i propri bisogni.
Ecco allora che nascono iniziative locali per cercare di risolvere una questione molto più vasta: l'inadeguatezza delle strutture regionali e provinciali alla rappresentanza dei propri comuni, quantomeno in modo equo e proporzionale. Come può sentirsi rappresentata la provincia di Latina o di Frosinone quando nella scelta degli assessori alla Pisana non ci sono abbastanza delegati locali? Come possono i cittadini di Magliano sentirsi parte di una provincia distante (più lontana dell'umbra Terni) che non dà a Magliano quanto gli spetterebbe, ossia essere considerata (come realmente è) il sesto comune della provincia?
E Leonessa, come si sente rappresentata quando chiede che lo sviluppo dei propri impianti sciistici non sia bloccato al capoluogo?
Ecco quindi che, per risolvere questioni ormai croniche, che il sistema politico nel suo complesso ha dimostrato di non saper gestire, i territori fanno ricorso all'unico strumento loro rimasto, ossia la secessione. Magliano e Leonessa avrebbero in Umbria una regione a misura delle loro esigenze; Latina, Frosinone (forse anche Viterbo e Rieti) con una regione Lazio senza la Capitale avrebbero la certezza che quello (rectius: quel poco) che arriva sicuramente andrebbe ai propri territori.
Inoltre, a tutto questo si aggiunge un altro tema importante: a cosa servono le province? Ma qui andremmo a finire troppo lontano. Avremo occasione per riparlarne.

Niccolò


Intanto riportiamo di seguito l'articolo del Corriere di Rieti che affronta il tema "secessione".


E pensare che, già anni fa, due piccole realtà reatine avevano tentato di portare a casa un risultato con la loro singolare battaglia. Nel febbraio del 2008 il consiglio comunale di Leonessa approvò il referendum che, alla fine del mese di novembre dello stesso anno, portò alle urne i cittadini del borgo reatino per varare la possibilità di annettere la piccola realtà comunale di confine non più alla Regione che “ospita” il Colosseo quanto alla più “adeguata” (e più vicina) Umbria. Ma il voto non servì: non venne raggiunto il quorum che avrebbe dato validità alla scelta effettuata dagli “elettori”. Magliano Sabina, altra realtà comunale dalle piccole sembianze e di vero e proprio confine con la regione “verde” (la cosiddetta “Porta della Sabina”), non fu da meno: almeno nelle intenzioni. In quel caso, fu l’associazione “Sabinamente” a lanciare la provocazione di una “secessione” verso l’Umbria, a causa della scarsa considerazione goduta sotto la “dominazione” reatina. Attraverso un frequentatissimo blog su Internet le sfide furono accese, ma di fatto non portarono a nulla di concreto. Se non a un esempio, che è stato seguito poi un po’ in tutta Italia. Insomma, dopo i casi di Leonessa e di Magliano Sabina, qualcuno ce l’ha già fatta, come dimostra la notizia dei sette comuni dell’Alta Valmarecchia che, dopo il consueto referendum previsto dalla legge, hanno ottenuto il via libera per il passaggio dalle Marche all’Emilia Romagna (anche se sulla loro scelta ora pende il ricorso presentato dinanzi alla Consulta dalla stessa Regione Marche). Tra gli altri casi in Italia, ci fu il comune veneto di San Michele al Tagliamento, primo fra i tanti di quella regione che si sentono più friulani o trentini (ma, anche lì, il referendum non raggiungesse il quorum); e poi Lamon, passato dal Veneto al Trentino Alto Adige. Ma la sindrome del distacco colpisce quasi tutte le regioni: in Toscana, ad esempio, il paese di Badia Tedalda vuole spostarsi dalla provincia di Arezzo a quella di Rimini, mentre a Firenzuola, nonostante il nome, si sentono più bolognesi che fiorentini. In Lombardia Magase e Valvestino chiedono di lasciare la provincia di Brescia per traslocare in Trentino Alto Adige. In undici vogliono abbandonare Venezia e il Veneto per diventare località del Friuli Venezia Giulia. In Puglia cinque comuni chiedono di cambiare provincia e regione, da Foggia al Molise, con l’aggregazione alla Provincia di Campobasso. In Piemonte otto comuni chiedono il lasciapassare per la Liguria e 6 per la Valle d’Aosta. Così, infine, il Lazio, con Gaeta che vuole diventare una città della Campania; Tarquinia che chiede di diventare toscana e le “nostre” Leonessa e Magliano Sabina che hanno lottato, finora, inutilmente per la loro annessione all’Umbria.

Antonella Lunetti

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