In Evidenza

sabato 30 giugno 2007

...e quanto ci costa l'amministrazione?

Dunque, esattamente con lo stesso spirito del post
precedente vediamo quento spendiamo per questa
amministrazione.. Basandosi sulle cifre più o meno
conosciute, ci sono 4-5'000 euro mensili per il sindaco,
e cui aggiungiamo 4-5'000 euro mensili per i capi area
(più possibili premi di fine anno) a cui aggiungiamo 76'ooo
euro annuali per il "city manager" a cui aggiungiamo
1'000 euro mensili per gli assessori..

Dal sito dei comuni italiani prendo la lista degli assessori:
http://www.comuni-italiani.it/057/035/amm.html

Facciamo le somme:
4'000 euro mensili al sindaco fanno 48'000 euro annuali:
4'000 euro mensili ai capi area fanno 48'000 euro annuali;
1'000 euro mensili agli assessori fanno 12'000 euro annuali;
aggiungiamo 76'000 euro del city manager;

48'000 (sindaco)                                  +
96'000 (ipotizzando due capi area)        +
76'000 (city manager)                          +
36'000 (tre assessori)                           =
______________________

256'000 euro (esclusi premi di fine anno e paga al vicesindaco)
(cioè mezzo miliardo di vecchie lire)

Un pensiero: visto che a Magliano ci sono 1'000 famiglie,
ognuna delle quali ha spesso 30 euro mensili (che significa
30'000 euro di spese in più per la comunità), considerati
questi lauti compensi, e considerata la vostra responsabilità,
non sarebbe buona cosa RIDISTRIBUIRE LE RISORSE
IN MODO EQUO...

-risarcendo le famiglie??
-diminuendo gli stipendi??
-avvisando la gente dell'arsenico subito, cioè sette anni fa??
-costruendo un dearsenificatore?

Niccolò

venerdì 29 giugno 2007

Quanto costa l'acqua all'arsenico?

Dunque, vorrei cercare di fare i conti in tasca ai maglianesi
per la nostra cara amatissima questione dell'arsenico..
Non me ne vogliano i maglianesi :-)

Il comune, a suo tempo, aveva invitato i cittadini a evitare
"l'uso umano" dell'acqua dell'acquedotto.
Ora, uso umano significa che io non potrei utilizzare l'acqua
nemmeno per sciacquarmi le mani. Ma per il nostro computo
tengo in considerazione soltanto l'uso dell'acqua come alimento,
eliminando dal conteggio l'uso dell'acqua per la doccia,
per lavare i denti, per lavarsi il viso la mattina, per il bidet,
per lavare i piatti, etc.. (anche se ciò non mette al sicuro
la persona dal contatto con l'arsenico)

Dunque, per cucinare ipotizziamo di utilizzare 3 litri a pranzo
e altri 3 alla sera.. Chi era abituato a bere l'acqua del rubinetto
usa altri 2 litri al giorno.
Ipotizziamo un uso di 10 litri al giorno per famiglia.
Ovviamente questi conteggi sono ideali, ma servono per dare
un'idea generale della situazione.

Ipotizzando che una bottiglia d'acqua naturale costi 0,15 cent,
una confezione di acqua naturale costa circa 1 euro..
Ogni giorno una famiglia maglianese spende più di un euro per
l'acqua, da quando è iniziata l'emergenza arsenico.
In poche parole, orientativamente, si spendono più di 30 euro
al mese..

Ora, chi li rimborsa questi soldi ai maglianesi?
E sopratutto, quando sarà pulita l'acqua di Magliano?

E' molto imbarazzante per me, maglianese, ripetere queste
cose da tanto, troppo tempo..

Niccolò

lunedì 18 giugno 2007

"Chi non mostra non vende"

Molto spesso sono stato testimone di iniziative, anche molto interessanti, per le quali si è avuta una cornice di pubblico o di partecipanti molto limitata.
Andando a ricercare una motivazione di tale situazione ho verificato che molte persone non erano informate degli eventi in programma.
Un possibile strumento per poter rilanciare il nostro paese potrebbe essere costituito da una semplice installazione alle porte del paese, ed in particolare a Frangellini, in prossimità del bivio con la Flaminia, di un sostegno per l'applicazione di manifesti informativi e o banner per poter informare tutti i passanti di tali iniziative.
Ad esempio si potrebbe copiare l'idea adottata da anni a Narni che sfrutta dei semplici pali ai quali vengono applicati degli striscioni, appesi dei cartelli o semplicemente dei manifesti.
Le posizioni di tali installazioni devono essere strategiche per poter attrarre soprattutto i "forestieri", cioè tutti coloro che, anche semplicemente passando per la SS3, potrebbero partecipare alle iniziative o visitare il nostro paese.
Per i paesani? Si potrebbe sfruttare meglio il pannello luminoso presente in via Circonvallazione ed incrementare il numero di manifesti/locandine diffuse per il paese.

Leonardo Varasconi

sabato 16 giugno 2007

4 NUOVI POST

ho aggiunto nuovi articoli...buona lettura
Mr SABBA

intervista a mario pagliani.

pubblichiamo la versione integrale dell'articolo apparso su incontri riguardo il gonfalone

A meno di un miracolo, Magliano perderà per quest’anno il classico appuntamento con il Gonfalone. Abbiamo incontrato Mario Pagliani, ex presidente dell’associazione, per cercare di capire meglio cosa sta accadendo. “Esiste innanzitutto un problema di carattere burocratico. Dal momento che siamo alla fine di un mandato, il consiglio della Giostra andrebbe rinnovato. Le cariche da eleggere sarebbero 14, ma i soci sono soltanto 12. “La cosa triste”, ammette amaramente “è che, pur riuscendo ad ovviare a questa situazione, si andrebbe incontro a quello che in fin dei conti è il vero problema della manifestazione:la mancanza di interesse e partecipazione”. “Purtroppo le persone che collaborano attivamente sono sempre meno e l’interesse per la manifestazione va sempre più scemando nella popolazione” ma una frecciata la riserva anche all’Amministrazione a suo modo di vedere (e anche mio nda) “poco attenta nei confronti del Gonfalone”. “Questi erano i giorni in cui abitualmente presentavo tutte le domande del caso. Francamente mi sembra strano che nessuno si sia accorto che non sia ancora arrivato nulla”. Ma il suo non è un gratuito “J’accuse” alla Zolà , ma un’amara constatazione nei confronti di una delle tante realtà, che a Magliano stanno morendo.

perche' no...

E se prendessimo noi giovani in mano le feste maglianesi?

Troppo spesso sento dai miei coetanei la solita frase “a magliano nun se fa mai gnende!”.
Ma ragioniamo, se a Magliano non si fa niente e noi siamo i giovani di Magliano, allora siamo noi che non facciamo mai niente! E allora per che non iniziamo ad entrare nei direttivi dei vari comitati o meglio a formarne uno noi stessi!

Noi di sabinamente abbiamo un sacco di idee! Dovete solo aiutarci a metterle in atto! E allora giovane maglianese non stare fermo!

sarebbe cosi difficile?

Rilanciamo Il patrono e il gonfalone!
Abbiamo una proposta per cercare di creare una vera e propria GRANDE FESTA MAGLIANESE!
Uniamo il Gonfalone alla festa del patrono!! Mettiamoci a tavolino e pianifichiamo un programma che in una decina di giorni, chiaramente nel mese di Maggio, unirebbe la festa in costume a quella del Santo.
Sentite cosa si potrebbe fare:
- al posto del palio all’anello che ne pensate di formare quattro squadre rionali e in piazza dare vita ad un torneo di calcio storico?
- al posto di artisti, che pur bravi, risultano semisconosciuti ai piu’, perché non dare spazio ai tanti maglianesi che abbiano voglia di esibirsi? Avremmo più gente in piazza e, risparmiando i soldi che ogni fine settimana prendevano i vari sosia di chicchessia (ripeto, gente comunque che sapeva il fatto suo), si potrebbe cercare ,con la collaborazione magari piu’ cospicua dei bar di piazza, di portare uno dei tanti comici emergenti del panorama nazionale (tipo quelli di Zelig-off, Colorado o il nuovo seven show. Che ne dite?
- perchè non rappresentare la commedia direttamente in piazza?
- dare poi il vita ad una settimana dello sport o ad un torneo di calcetto...

E quante cose ancora abbiamo pensato, proprio per questo vogliamo fare una assemblea pubblica per cercare di parlare alla gente e far capire che le cose si possono fare anche qui!

Piu’ collaborazione, piu’ offerte ai comitati, piu’ partecipazione...

MAGLIANO PUO’ ANCORA CAMBIARE!

w la deroga!

che bello ora la nostra acqua si puo’ bere! La deroga a noi concessa ha, come per magia, tolto l’arsenico dai nostri rubinetti!
E ci hanno pure dato altri mesi di tempo per metterci in regola...ma nessuno si ricorda che....

ERANO SETTE ANNI CHE DOVEVAMO FARLO!!!

martedì 12 giugno 2007

On The Road...

NAZIONI D’ANIMO
(Stato eccezionale)


Ramon il taxista: Come ti chiami ?
Io: Carlo, senor
Ramon : Sei cristiano, Carlos?
Io: ehm..non saprei… credo di si
Ramon: Cattolico o evangelico?
Io: Mah, penso cattolico
Ramon: Bravo, fratello, allora sei davvero un brav’uomo.


Così è iniziato il mio soggiorno in Venezuela, il 7 dicembre 2008.
Appena atterrato, dopo aver passato una notte di scalo in giro per Parigi, non prima di aver
cambiato diversi euro sottobanco con qualche inserviente dell’Aeropuerto “Simon Bolivar” mi sono
trovato subito di fronte ad una forte componente insita nella natura delle popolazioni dell’america
latina: la l’attaccamento religioso
Il primo dialogo in questa terra per me ancora sconosciuta è stato di difficile impatto:

Ramon: il mondo è pieno di credenti ma ci sono troppe religioni
Io: E’ vero Ramon, al mondo ci sono più religioni che bambini felici….


Avevo preso il taxi per recarmi alla stazione degli autobus per prendere una corriera che in 12 ore di
viaggio(!) mi avrebbe dovuto portare a Merida, ridente cittadina sulle Ande Venezuelane (ma poi
ho scoperto che questa cittadina non ha molto da ridere…;
Non è stato facile districarmi dal radicale conservatorismo cattolico di Ramon, e per comprensibili
motivi di cautela ho dovuto tirare fuori tutta la mia retorica, anche un pò vigliaccamente.
Ovviamente mi sono scontrato subito con una situazione non facile, che mi ha colpito e mi ha dato
immediatamente diversi spunti di riflessione.

Mentre Ramon pigiava sul gas tra le sopraelevate di Caracas, lasciando spazio in lontananza al paesaggio di baracche e capanne dei sobborghi (altro che i peggiori bar..)qualcosa dentro di me non riusciva a placarsi: lungi da me fare revisionismo cattolico, però in effetti, è impossibile non
notare ripetitivamente come la religione riesca ad attecchire laddove la povertà e l’instabilità sociale la fanno da padroni. E’ triste riscontrare realmente ciò di cui si è sempre discusso solo
a parole, di come la religione sia il cibo dei poveri, di come riesca ad instillare la necessità di fede quando la realtà non concede nessuno spazio alla speranza, di come speculi promettendo un aldilà migliore quando, effettivamente, l’aldiqua non potrebbe essere peggiore. Forse sono soltanto riflessioni estemporanee e demagogiche ma lo scenario a cui mi sono trovato davanti non ha potuto fare a meno di evocare in me tali pensieri.

Ma mi sono messo l’anima momentaneamente in pace e ho continuato per la mia rotta.
Il perché io mi trovassi in Venezuela è presto detto: come un anno fa, mi sono trovato a collaborare con il CIRPS (Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile dell’Università La Sapienza) in un progetto di cooperazione internazionale sull’energia solare. In particolare, in questa missione, dovevo tenere un corso di Autocostruzione di pannelli solari-termici ad una comunità andina situata a 4000 m di altitudine.
Detta così sembra facile, e infatti lo sarebbe se non intervenisse il destino beffardo a complicare le cose (ma ammetto che devo ringraziarlo per avermi insaporito la vita più e più volte).
Prima di arrivare sul posto oggetto del nostro progetto dovevo incontrarmi con un professore che
stava ripartendo per l’Italia affinché mi aggiornasse sullo svolgimento del lavoro. Con molta
professionalità si è deciso di incontrarci l’8 dicembre su una spiaggia dei Carabi per definire i
dettagli dell’operazione.
L’autostazione di Caracas è tremenda, piena di aguzzini che vogliono appiopparti biglietti per le
destinazioni più disparate, ce n’era addirittura uno che mi ha supplicato per una buona mezz’ora per convincermi ad andare a Maracàibo (attenzione l’accento è sulla à, la canzone ci ha plagiato la
mente), io continuavo a dirgli che dovevo per forza di cosa andare da un’altra parte e lui non voleva arrendersi….. è stata una scenetta invadentemente simpatica.
Breve descrizione degli autobus: poiché la temperatura a Caracas a dicembre è di circa 40° gli
autisti guidano scalzi, si viaggia con finestrini e porte(!!) aperte e radio con musica afrocubana ad
altissimo volume. Con l’aiuto di qualche Dio degli Studenti riesco ad arrivare a destinazione
cambiando casualmente 3 autobus nel giro di 4 ore. Trovo la prima branda e buonanotte.
La mattina dopo vengo svegliato dal professore che arrivando da un viaggio di 10 ore in macchina
riesce anche a trovarmi nonostante non ci fossimo tenuti in contatto perché i cellulari italiani,
prevedibilmente, non funzionano bene in Venezuela. Andiamo al porto, chiamiamo un ragazzo che con una barchetta ci porta su un isoletta dell’atollo di Chichiriviche. Passeggiata, bagno e raccolta di noci di cocco mentre eravamo in riunione permanente e discutevamo sull’esito del progetto.

Il giorno dopo il prof. riparte per Roma e io mi metto in viaggio per Merida.
Ma al mio arrivo non trovo nessuno dei partner locali ad aspettarmi.
C’è un’altra sfaccettatura del modo di fare dei sudamericani che mi affascina e mi spaventa come
un improvviso bacio sul collo da dietro: la dilatazione dei tempi.

Il sudamericano è il testimonial supremo della filosofia LAVORARE CON LENTEZZA. Tutto
procede a rilento, lavoretti o faccende che noi italiani ci sbrigheremmo in 1 ora loro ci mettono una settimana, perché tutto va fatto con calma, appuntamenti ritardati, orari fittizi.
In sostanza nelle mie due settimane di permanenza ho fatto dei lavori che in Italia avrei completato in 3 giorni.
Però forse una parte di me si è ritrovata abbastanza comoda in questo spirito, in questa voglia di
rallentare e guardarsi attorno, di fermarsi un attimo a pensare. In Italia non mi capita spesso di
fermarmi a chiedermi il perché di quello che sto facendo, di ogni piccolo impercettibile movimento della mia vita, la motivazione che mi spinge ad eseguire ogni inutile azione : “Perché ho mangiato questo oggi? Perché ho questa maglia addosso? Verso dove sto correndo?”.

Vi confesso che in Venezuela ho ritrovato il gusto di lasciarmi pensare, rilassarmi, gabbare lo stress senza incappare nella noia, per riscoprire che in fondo quello che conta non è il punto di arrivo ma il viaggio stesso; e allora preferisco viaggiare a 10 km all’ora e godermi il panorama piuttosto che accelerare per arrivare prima senza aver rivolto mai lo sguardo fuori.

E questa volta devo dire che addirittura ho tirato fuori la testa dal finestrino (e quasi avrei preferito cadere…). Ma ho imparato tante cose. Ho capito che lo sviluppo deve essere visto come un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani e quindi deve avere delle caratteristiche precise: tendere alla soddisfazione dei bisogni primari, ossia garantire a ciascun individuo nutrizione, casa, salute, ma anche libertà, identità e giustizia. Essere endogeno, basato cioè sull’autosufficienza, sul “contare sulle proprie forze”, essere in armonia con la natura, cioè sostenibile; ed infine essere partecipato attraverso il coinvolgimento della società civile.

In Venezuela la divaricazione sociale non è, come in altri paesi del Mondo, tra Nord e Sud, bensì tra centro e periferia, tra una minoranza di globalizzati e una maggioranza di esclusi. Strumenti come il denaro o la tecnologia non devono essere trattati come strumenti di potere, ma come strumenti di diritto per tutti. Questo vuol dire dare la possibilità ad ognuno di poter esprimere il proprio sé, il proprio essere persona, e per far questo gli strumenti sono indispensabili.
In Venezuela la mancata affermazione del diritto all’accesso agli strumenti rende palese la
situazione di emergenza in alcune aree.

Cavolo non devo fermarmi più a pensare…. Forse è meglio spingere sull’acceleratore….
L’anima viola il tratta di pace che avevo firmato con lei il giorno prima e ritorna a tormentarmi
Ma troppe situazioni sono surrealmente irrazionali.
Non è razionale l’abitudine di bruciare aree forestali per ricavarne, nel breve periodo, terreni
coltivabili. Non è razionale la deforestazione realizzata per ricavarne legname da ardere, cioè una fonte di energia.
Occorre imparare di nuovo l’ABC del rapporto con la natura. Per questo siamo partiti dai pannelli
solari: aule all’aperto dove apprendere un modo di stare al mondo per cui, anziché semplici
consumatori, diventiamo creatori di vita, e nella pratica di una possibile autosufficienza
apprendiamo il respiro della libertà interiore. Un giardino, un bosco, un orto trasformano
l’abitazione in qualcosa di vivo di cui prendersi cura.


Non ho fatto in tempo a mettere piede in Venezuela che gia mi trovavo immerso nel suo fango
vitale. Tuttavia il progetto è andato a buon fine, grazie anche all’aiuto di chi mi ha preceduto, sono riuscito a costruire 2 impianti solari che forniscono acqua calda per 2 famiglie disagiate. Ho tenuto un corso sia teorico che pratico di autocostruzione a cui la comunità ha risposto in maniera eccezionale: ricordo che eravamo a casa della signora DulceMaria, una donna che abita in un paesino a 3.300m sulle Ande e che vive allevando una simpaticissima quanto aggressiva pecorella e coltivando patate e fragole. Da quelle parti l’acqua arriva direttamente dalle sorgenti montane tramite un tubo non interrato (quindi chiunque può andare li e sabotare) che attraversa tutto il versante delle montagne. Ovviamente l’acqua calda non esiste, a meno che qualche fortunato all’interno del villaggio
possieda una caldaia a legna o uno scaldabagno elettrico, ma tanto l’elettricità non c’è tutti i giorni. La sua famiglia era stata scelta come destinataria del nostro progetto, quindi abbiamo invitato tutte le persone del villaggio, adescandole con una buonissima zuppa “campesina”, abbiamo mostrato loro dei filmati sulle applicazioni dell’energia solare e poi ci siamo messi tutti insieme a lavorare come carpentieri per costruire questo pannello che alla fine è stato regalato alla famiglia della signora DulceMaria.


L'aspetto più interessante è stato la comprensione del fatto che la tecnologia non è una proprietà
delle macchine ma un prodotto della conoscenza umana. Gli effetti dell'uso delle macchine, e
a maggior ragione la capacità di creare innovazioni tecnologiche, non dipendono tanto dal capitale
fisico quanto dal capitale umano. Nel nostro caso la spinta ad effettuare una proposta autodeterminazione tecnologica è nata dall’esigenza di trovare una soluzione ambientalmente e
tecnologicamente sostenibile per migliorare le condizioni igienico-sanitarie dei beneficiari di tali interventi.
Affinché l’innovazione tecnologica si trasferisca facilmente nel bagaglio culturale del destinatario si è pensato di utilizzare l’autocostruzione in quanto strumento di libera divulgazione e condivisione verso cui una comunità è in grado di prendere direttamente coscienza.
E’ chiaro che in questo processo di “tecnologizzazione” dello sviluppo un ruolo inevitabilmente
molto importante è giocato dalla popolazione, che , attraverso diverse forme di identificazione e
organizzazione, si pone come attore principale all’interno di questo processo.
Ed è stato stupendo vedere come i partecipanti al laboratorio di autocostruzione cercassero di
imparare questa nuova tecnologia per poterla riprodurre ognuno nella propria abitazione, è stato
stupendo vedere come la loro collaborazione sia stata motivata dalla voglia di aiutarsi a vicenda.
Questo testimonia che l’uomo si incontra nel suo bisogno e che la risposta al bisogno mobilita
positivamente le persone e mette in gioco libertà e creatività.

Così ci piace.


Vogliamo operare mossi da un ideale, sia esso religioso o umanitario, che è sempre caratterizzato da una passione per l’uomo capace di far camminare assieme per lunghi tratti uomini diversi per
formazione, per cultura, per appartenenza ideologica.
Per molti studiosi una tecnologia sarebbe appropriata solo quando risolve i grandi problemi
dell’uomo, della società e dell’ambiente, quali si presentano nelle società industriali avanzate.
Questa definizione però non mi piace, in quanto la tecnologia è un mezzo, uno strumento per
raggiungere certi obiettivi, con i quali non si identifica e che non sono necessariamente quelli che si propone una società industriale avanzata. Viceversa, dobbiamo ritenere che una tecnologia sia
appropriata quando, per effetto della sua struttura e dei rapporti che riesce a stabilire con la cultura, l’ideologia, la struttura sociale del paese in cui viene adottata, dà origine a processi che si
autosostengono e riescono a far crescere le attività del sistema e la sua autonomia.
Appropriate a quale scopo? Senza dubbio a soddisfare i bisogni delle persone, senza ricorrere per
forza a strumenti di ultima generazione, ma semplicemente attraverso diverse combinazioni di
lavoro umano e attrezzature, tenendo conto della configurazione organizzativa e dell'ambiente in cui avviene l'intero processo. Una definizione che si addice anche a una radio a manovella, a un forno solare o a una tecnica di costruzione biologica. In altre parole, si tratta di far aumentare la capacità di sopravvivenza e di sviluppo della popolazione che la adotta.


Tiratina d’orecchie: c’è da dire che il concetto di appropriatezza non è necessariamente riferito a
paesi a livello di sviluppo molto basso: una tecnologia può essere appropriata anche rispetto a una popolazione altamente progredita.
Quest'alternativa non deve essere pensata solo per il “Sud del mondo” ma può essere applicata
anche alle società più pigre suggerendo di andare più adagio per adeguare il proprio ritmo di vita
all'utilizzo di energie rinnovabili, come appunto quella del sole. Un cambiamento che impone non
solo la sostituzione di tecnologie, ma una rivoluzione culturale che ci spinga a rimontare in sella
alle biciclette e a coltivare il nostro orticello famigliare.

Dopo quest’ennesima digressione non mi rimane da dire che sono tornato a casa il 23 dicembre
sano e salvo, ma devo sottolineare, egoisticamente, che dopo ogni viaggio che ho fatto o missione a cui ho partecipato chi ne è uscito maggiormente arricchito sono stato proprio io.
Ancora oggi, dopo tre mesi dalla fine di questa esperienza di viaggio la memoria è ormai affollata
da ricordi di esperienze uniche e il cuore non dimentica il sapore della terra, di questo Venezuela,
che come uno “specchio” si riflette ancora nei miei occhi, spesso troppo distratti o indaffarati, a
ricordarmi che a causa del progresso ci siamo separati dalla natura, dai suoi ritmi, colori e suoni; ma il benessere non deve trasformarsi nel taglio delle radici dell’uomo, nell’incapacità di percepire il fragile miracolo di essere vivi, ma nella riscoperta del legame che perdura da millenni tra tutti gli esseri umani.
Per questo voglio ringraziare gli abitanti di Mucuchies, Mocao, Mitivivò, Mixteque, Gavidia per
l’accoglienza datami ad addolcire l’amaro retrogusto della povertà; per aver condiviso con me la
nostalgia di un passato meno tecnologico e inquinato (anche a livello mentale e morale), dove tutto accadeva con un ritmo naturale e questo dava la possibilità all’uomo di “vedere” e di “sentire” la vita che pulsa intorno (e dentro) di noi, di vivere in armonia con la terra.
Anche quando la città (ormai frenetica) incombe con i suoi alti muri e rumori e insieme al territorio rischia di soffocare la gioia di vivere.

Sicuramente in modo inadeguato, ma sincero, con questa sorta di diario di viaggio voglio anche
esprimere un ringraziamento a chiunque abbia scelto di stare dalla parte dei poveri del mondo:
coloro con i quali tentiamo ogni giorno di condividere quello che ci è stato dato ed ai quali, lo
speriamo, possa in fin dei conti servire anche questo lavoro.

Carlo Tacconelli 26/3/2009

“Pobre no es qui no tiene dinero
Pobre es qui no tiene sueno”

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Statuto

Statuto dell'associazione non riconosciuta “Sabinamente”
Sabinamente – Associazione culturale per la salvaguardia della cultura e tradizione di Magliano Sabina

Art. 1 - Denominazione e sede

È costituita in Magliano Sabina (RI) in Piazza del Duomo s.n.c. il dì 3 settembre 2007, l'associazione culturale denominata “Sabinamente – Associazione per la salvaguardia della cultura della tradizione di Magliano Sabina”

Art. 2 - Scopo

L'associazione non ha scopo di lucro ed è apartitica.

Essa ha per obiettivo la divulgazione della cultura e delle tradizioni maglianesi in tutte le sue forme. Fa informazione locale attraverso propri portali internet. Favorisce la discussione e riflessione su tematiche locali mediante gli stessi mezzi. Agisce nella comunità maglianese con i propri membri, attraverso l’organizzazione di varie iniziative inerenti a quanto sopra specificato.

Art. 3 - Durata

La durata dell'associazione è illimitata e potrà essere sciolta con delibera dell'assemblea straordinaria degli associati.

Art. 4 - Domanda di ammissione

Sono membri tutti coloro che partecipano attivamente alle attività svolte dall’associazione, previa iscrizione alla stessa.

Possono far parte dell'associazione, in qualità di soci, sia le persone fisiche che gli enti e/o altre associazioni.

Tutti coloro i quali intendono far parte dell'associazione dovranno redigere una domanda su apposito modulo (allegato “B”).

La validità della qualità di membro efficacemente conseguita all'atto di presentazione della domanda di ammissione è subordinata all'accoglimento della domanda stessa da parte del Consiglio Direttivo, il quale deciderà in piena autonomia e a suo insindacabile giudizio.

In caso di domanda di ammissione a socio presentate da minorenni le stesse dovranno essere controfirmate dall'esercente la potestà parentale.

Lo status di associato non può essere trasmesso a terzi per atto inter vivos.

Art. 5 - Diritti e doveri dei soci

Tutti i soci maggiorenni godono, al momento dell'ammissione, del diritto di partecipazione nelle assemblee sociali, nonché dell'elettorato attivo e passivo.

Ogni socio risponde a livello personale delle obbligazioni da lui assunte nei confronti di terzi, sia a livello patrimoniale, che di responsabilità civile e penale.

I soci devono condividere i valori e gli impegni dell’associazione; rendersi disponibili nell’organizzazione di un evento o di una proposta dell’associazione.

Art. 6 - Decadenza dei soci

I soci cessano di appartenere all'associazione nei seguenti casi:

- dimissione volontaria;

- morosità protrattasi per oltre 30 giorni dalla scadenza del versamento della quota associativa richiesta (qualora esista tale quota) e consenso del Consiglio Direttivo.

- radiazione deliberata dalla maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio Direttivo, pronunciata contro il socio che commette azioni ritenute disonorevoli entro e fuori dell'associazione, o che, con la sua condotta, costituisce ostacolo al buon andamento del sodalizio oppure che non condivide i valori e gli scopi dell’associazione stessa.

Il provvedimento di radiazione assunto dal Consiglio Direttivo deve essere ratificato dall'assemblea ordinaria. Nel corso di tale assemblea, alla quale deve essere convocato il socio interessato, si procederà in contraddittorio con l'interessato ad una disamina degli addebiti.

L'associato radiato non può essere più ammesso.

Art. 7 - Organi

Gli organi sociali sono:

- l'assemblea generale dei soci

- il presidente

- il vice presidente (facoltativo)

- il segretario

- il consiglio direttivo

Art. 8 – Assemblea generale dei soci

L'assemblea generale dei soci è il massimo organo deliberativo dell'associazione ed è convocata in sessioni ordinarie e straordinarie.

Art. 9 - Diritti di partecipazione

Potranno prendere parte alle assemblee ordinarie e straordinarie dell'associazione i soli soci in regola con il versamento della quota associativa annua (laddove esista tale quota) e tutte le altre cariche dell’associazione.

Ogni socio può rappresentare in assemblea solamente se stesso. Solo il presidente può fare le veci dei soci assenti.

Art. 10 - Compiti dell'assemblea

La convocazione dell'assemblea ordinaria avverrà almeno otto giorni prima mediante affissione di avviso nella sede dell'associazione e contestuale comunicazione agli associati a mezzo telefono, posta (anche elettronica), fax o telegramma.

L'assemblea deve essere convocata almeno una volta all'anno per la discussione del rendiconto economico e finanziario e le attività future. Spetta all'assemblea deliberare in merito all'eventuale modifica dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi dell'associazione.

Art. 11 - Validità assembleare

L’assemblea ordinaria e straordinaria è valida indipendentemente dal numero di soci legalmente presenti e delibera validamente con voto favorevole della maggioranza dei presenti. Ogni socio ha diritto ad un voto.

Ogni socio ha il diritto di proporre discussioni e argomenti attinenti all’operato dell’associazione.

Art. 12 - Assemblea straordinaria

L’assemblea straordinaria è convocata dal Presidente, da un terzo dei membri del Consiglio Direttivo o su richiesta di minimo la metà dei soci. Le eventuali modifiche del presente statuto potranno essere discusse e deliberate dall'assemblea generale dei soci.

Art. 13 - Consiglio direttivo

Il consiglio Direttivo è composto da un numero variabile di membri (massimo nove).

I membri del Consiglio Direttivo sono eletti dall'assemblea, che nel proprio ambito nomina il Presidente, Vicepresidente (carica facoltativa) ed il Segretario con funzioni di tesoriere (che, in assenza del collegio di revisori contabili, assume anche le funzioni in capo a tale organo).

Tutti gli incarichi sociali si intendono esclusivamente a titolo gratuito.

Il consiglio direttivo rimane in carica sette anni ed i suoi componenti sono sempre rieleggibili. Le deliberazioni verranno adottate a maggioranza. In caso di parità prevarrà il voto del presidente.

Art. 14 - Dimissioni

Nel caso che per qualsiasi ragione durante il corso dell'esercizio venissero a mancare uno o più consiglieri, i rimanenti provvederanno alla convocazione dell'assemblea dei soci per surrogare i mancanti che resteranno in carica fino alla scadenza dei consiglieri sostituiti.

Il consiglio direttivo dovrà considerarsi sciolto e non più in carica qualora per dimissioni o per qualsiasi altra causa venga a perdere la maggioranza dei suoi componenti.

Art. 15 - Convocazione Direttivo

Il consiglio direttivo si riunisce ogni qualvolta il presidente lo ritenga necessario, oppure se ne sia fatta richiesta da almeno un consigliere, senza formalità.

Art. 16 - Compiti del consiglio direttivo

Sono compiti del consiglio direttivo:

a) deliberare sulle domande di ammissione dei soci;

b) redigere il rendiconto economico-finanziario da sottoporre al collegio dei revisori contabili (qualora esista) e all'assemblea;

c) fissare le date delle assemblee ordinarie dei soci da indire almeno una volta all'anno e convocare l'assemblea straordinaria qualora lo reputi necessario o venga richiesto da minimo metà dei soci;

d) redigere gli eventuali regolamenti interni relativi all'attività sociale da sottoporre all'approvazione dell'assemblea degli associati;

e) adottare i provvedimenti di radiazione verso i soci qualora si dovessero rendere necessari, poi approvati dall’assemblea;

f) attuare le finalità previste dallo statuto e l'attuazione delle decisioni dell'assemblea dei soci;

g) la nomina degli organi dell'associazione;

h) assumere le decisioni direzionali dell’associazione.

Art. 17 - Il bilancio

Il consiglio direttivo redige il bilancio ovvero il rendiconto dell'associazione e ogni altra documentazione contabile che si rendesse necessaria per disposizioni dell'assemblea.

Art. 18 - Il Presidente

Il presidente dirige l'associazione, per delega del consiglio direttivo. Ne è il legale rappresentante. Svolge anche le funzioni indicate di seguito come “carica facoltativa” fino alla nomina delle stesse da parte del Consiglio Direttivo. Il presidente fa parte del Consiglio Direttivo. La carica di Presidente dura 7 anni ed è sempre rinnovabile.

Art. 19 - Il Vice presidente

Il vice-presidente (carica facoltativa) sostituisce il presidente in caso di sua assenza o impedimento temporaneo ed in quelle mansioni nelle quali venga espressamente delegato. La carica di Vice presidente dura 7 anni ed è sempre rinnovabile.

Art. 20 - Il Segretario

Il segretario dà esecuzione alle deliberazioni del presidente e del consiglio direttivo, redige i verbali delle riunioni, attende alla corrispondenza e come tesoriere cura l'amministrazione dell'associazione, si incarica della tenuta dei libri contabili, nonché delle riscossioni e dei pagamenti da effettuarsi previo mandato del consiglio direttivo. La carica di Segretario dura 7 anni ed è sempre rinnovabile.

Art. 21 - Anno sociale

L'anno sociale e l'esercizio finanziario iniziano il 1° gennaio e terminano il 31 dicembre di ciascun anno.

Art. 22 - Patrimonio

I mezzi finanziari sono costituiti dalle quote associative (qualora vi fossero tali quote) determinate annualmente dal consiglio direttivo, dai contributi di enti ed associazioni, da lasciti e donazioni, dai proventi derivanti dalle attività organizzate dalla Associazione, dalle raccolte dei fondi. Il patrimonio non può essere in alcun modo usato da nessuno per fini divergenti da quelli dell’associazione. Chiunque prenda impegni ponendo a garanzia il patrimonio dell’associazione ne risponderà esclusivamente col proprio patrimonio personale, e in nessun caso alcun socio contribuirà a tale obbligazione da lui assunta.

Art. 23 - Sedi

L'Associazione potrà costituire altre sedi nei luoghi che riterrà più opportuni al fine di meglio raggiungere gli scopi sociali. L'associazione può cambiare la propria sede originaria.

Art. 24 - Clausola compromissoria

Tutte le controversie insorgenti tra l'associazione ed i soci medesimi saranno devolute all'esclusiva competenza di un collegio arbitrale composto da tre arbitri, due dei quali nominati dalle parti, ed il terzo con funzioni di Presidente, scelto dagli arbitri così designati.

L'arbitrato avrà sede in Magliano Sabina, ed il collegio giudicherà ed adotterà il lodo con la massima libertà di forma dovendosi considerare ad ogni effetto, come irrituale.

Art. 25 - Scioglimento

Lo scioglimento dell'associazione è deliberato dall'assemblea generale dei soci con assenso del presidente. Così pure la richiesta dell'assemblea generale straordinaria da parte dei soci aventi per oggetto lo scioglimento dell'associazione deve essere presentata da almeno 4/5 dei soci con diritto di voto, con l'esclusione delle deleghe.

La destinazione del patrimonio residuo avverrà a favore di altra associazione che persegua finalità analoghe ovvero a fini di pubblica utilità, fatta salva diversa destinazione imposta dalla legge.

Tale statuto costituisce parte integrante e sostanziale dell'atto costitutivo in pari data redatto.

Art. 26- Modifica dello statuto

Il presente statuto ha cogenza solamente all’interno dell’associazione e può essere modificato su richiesta del Presidente o di almeno la metà dei soci.

Art. 27 – Simbolo

L’associazione dispone di un proprio simbolo (in allegato "C") consono alle sue finalità e utilizzato in occasione di iniziative ed eventi di cui prende parte l’associazione stessa.


Letto, approvato e sottoscritto

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Succede a Magliano Sabina


Su questa pagina potrete leggere e trovare quanto sta accadendo nel nostro paese. Lo spazio è a disposizione di tutti, dunque non esitare ad inviarci una mail all'indirizzo: sabinamente@live.it


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Qui potete trovare tutti i racconti pubblicati nella rubrica "On The Road"

“Per tutti quelli che hanno gli occhi ed un cuore che non basta agli occhi…”

Storia di un viaggio nel deserto del Sahara

E’ da quando ero piccolo che sento dire la frase: “Fa un caldo che pare il deserto del Sahara…”
Beh, non avevo mai dato troppa importanza a questo modo di dire, essendo entrato nel linguaggio comune, finchè un giorno, aggirandomi per le aule dell’università, ho sentito parlare di un corso sulle Tecnologie per l’Autonomia e l’Ambiente. Essendo la curiosità uno dei difetti peggiori che affliggono l’umanità, mi sono subito interessato a queste lezioni. Il corso mostrava alcuni interventi di cooperazione internazionale e di sviluppo sostenibile svolti da un centro interuniversitario dell’università della Sapienza in diversi paesi del mondo, alcuni già realizzati altri in fase di realizzazione, in Chad, in Nicaragua, in Indonesia, in Chiapas, nel Sahara.
E’ proprio in quest’ultima zona che si è focalizzata la mia attenzione, per questo vi faccio un breve resoconto delle vicende storiche di questo paese:
Lo Stato del Sahara Occidentale ( di cui ho da poco scoperto l’esistenza, neanche i medici dell’ufficio vaccini internazionali lo conoscevano…) è stata una colonia spagnola fino al 1975, anno in cui la dittatura franchista si ritira, lasciando via libera all’invasione marocchina. Tale invasione militare ha provocato la fuga di parte della popolazione residente verso il deserto dell’Algeria, riducendo la restante popolazione in schiavitù.
Si calcola che siano 250.000 i Saharawi (gente del deserto, abitanti del Sahara Occidentale) residenti in campi profughi nell'estremo Sud-Ovest dell'Algeria, nella zona di Tindouf. Di loro si parla poco, come di tutti i popoli “dimenticati”, le cui rivendicazioni vanno a turbare interessi consolidati ed equilibri internazionali delicati. I rifugiati Saharawi sono i sopravvissuti al grande esodo: interminabili marce nel deserto, inseguiti dall'aviazione marocchina dal 1975.
30 anni di vita nella zona considerata tra le più invivibili del nostro pianeta. Ora sono già avviate da un po di anni tutte le pratiche internazionali volte all’assistenza nei paesi in casi di emergenza, con l’avvio di progetti recupero di distribuzione alimentare e di aiuti umanitari.
Mi sono subito appassionato a questa vicenda tanto che mi sono ritrovato a partecipare ad un progetto di Ingegneria Sostenibile con l’Università, che detta così sembra chissà che, però , detta in soldoni,si tratta di scavare dei pozzi al fine di irrigare degli orti all’interno degli accampamenti profughi Saharawi; la parte ingegneristica sta nel fatto che la pompa utilizzata per estrarre l’acqua dal pozzo viene alimentata da un pannello solare! E vi assicuro che di sole laggiù ce n’è abbastanza!!
E poi mi sono sempre piaciute le questioni umanitarie (se mi chiederete “perché lo fai”, non aspettatevi risposte esaltanti. Semplicemente non penso di essere un eroe né una persona particolare. Mi piace, mi appassiona e il contatto con gente meno fortunata mi offre elementi di arricchimento che purtroppo non sempre riesco a valorizzare. E poi, come disse John Hopkins in “A proposito di Schimdt” … nella vita bisogna essere utili a qualcosa o qualcuno…)

Con questo carico di emozioni sono partito alla volta di Tindouf, Algeria, il 7 settembre 2007.
Il viaggio, sebbene non troppo lungo, si è dimostrato gia impegnativo per il ferreo regime poliziesco presente in Algeria a causa del terrorismo interno, cis ono stati un po’ di attentati ad agosto; insomma, dopo mille controlli e diversi cambi di aereo sono riuscito ad arrivare nella capitale Saharawi dopo una giornata di aeroporti.
L’impatto è stato subito fortissimo, panorama ovviamente desertico, solo sabbia e pietre ovunque, 43-45 gradi fissi tutto il giorno e 35 di notte (in effetti il 7 settembre è ancora estate…). Il villaggio principale (la “capitale”) è fatto di case costruite con mattoni di sabbia e i tetti sono solo delle lastre di alluminio appoggiate; è chiaro che nel deserto non piove praticamente mai, ma ogni 2 anni capita una tempesta di sabbia e pioggia e in quel caso le abitazioni si sciolgono e bisogna ricostruire tutto da capo, l’ultima volta è successo a Febbraio 2007, infatti i lavori di ricostruzione sono ancora in corso. Gli altri accampamenti secondari sono costituiti per la maggior parte da tende familiari e recinti per le capre.
Lì il territorio è davvero ostile, perché a causa della temperatura alta non c’è minimamente vegetazione, e gli animali sopravvivono come possono: le capre mangiano cartoni, buste di plastica, addirittura si ciucciano l’acido che esce dalle batterie abbandonate delle automobili….
I Saharawi sono un popolo di antiche tradizioni di pastori nomadi, infatti capita spesso di trovare nel bel mezzo del deserto allevatori di cammelli e capre che portano a pascolare i capi di bestiame verso Sud, dove il clima è piu umido e la vegetazione è simile alla savana.

E’ davvero una situazione anacronistica, vedere i bambini che giocano a calcetto scalzi sulle pietre è davvero toccante….
I bambini sono eccezionali, hanno degli occhioni pieni di speranza per il futuro e trasmettono voglia di vivere.
Nei campi Saharawi sono presenti già diverse associazioni umanitarie europee, nonchè le nazioni unite, che lavorano per l’assistenzialismo, perciò la popolazione locale si è abituata a incontrare i bianchi in giro per i villaggi; e proprio i bambini sono l’anima di questa popolazione, appena vedono un europeo per strada lo salutano, ci giocano, sono contenti e affettuosi; un giorno stavo visitando una scuola per disabili mentali , a un certo punto mi sento chiamare da un bimbo, che si avvicina, vuole parlare con me, vuole sapere da dove vengo, che faccio li, mi ha detto che grazie ad una famiglia spagnola è stato 1 mese in vacanza a Barcellona e che ne era rimasto innamorato; mi ha chiesto se potevo aiutarlo, e allora gli ho detto “ cosa posso fare per te? Hai fame, sete, vuoi soldi o vestiti…? “ e lui mi ha risposto, in uno spagnolo arabeggiante “ Niente di tutto cio.Se puoi, la prossima volta che torni qui, portami una caramella dalla Spagna”… beh, adesso è difficile rendere l’idea di quello che si prova, ma vi assicuro che guardando quel bimbo, scalzo nella polvere, che mi guardava negli occhi e mi implorava solo per una caramella mi veniva da strapparmi il cuore, regalarglielo e dirgli “ Tienilo tu , tanto dalle parti nostre non lo usiamo”.

I Saharawi sono una popolazione molto ospitale, perlomeno con i bianchi, forse perché hanno capito che noi andiamo lì solo per aiutarli e non per approfittarne come succede in altre zone dell’Africa sfruttare dagli Europei e dagli Americani. Durante i miei sopralluoghi nei villaggi per parlare con la gente e spiegare il progetto ogni volta c’era qualche famiglia che mi invitava a mangiare nella sua tenda, a bere un tradizionale te ( un detto dice: esistono 3 tipi di te, uno amaro come la vita, uno dolce come l’amore e uno soave come la morte!!), a rimanere a dormire da loro. Per non parlare dei regali che mi hanno fatto: turbanti, tonache, melfe, addirittura mi hanno dato dei vestiti da donna per mia madre!
A proposito di mangiare, grazie agli aiuti umanitari laggiù il cibo non è cosi scadente, si mangiano fagioli, lenticchie, uova, patate, cipolle, pasta (rigorosamente scotta e senza sale, ma come si dice è sempre meglio di un calcio nei cosiddetti…), cous-cous, carne di capra e carne di cammello! Si, cammello, all’inizio anche io ero un po scettico, e anche un pò dispiaciuto all’idea dell’uccisione di un animale cosi docile, però da buon carnivoro ho subito apprezzato gli spiedini di cammello e lo spezzatino.

Per quanto riguarda invece la sistemazione, chiaramente se doveste decidere di andare nel Sahara non vi aspettate hotel a 5 stelle…. Io inizialmente alloggiavo nell’accampamento dei volontari europei, in camerate da 4 persone, ovviamente in camere fatte di mattoni di sabbia e un pò di cemento, poi mi sono spostato in altri villaggi dove non c’erano neanche i letti ma solo dei materassi pieni di polvere buttati a terra! E comunque con tutto quel caldo la notte era impossibile dormire in camera, infatti quasi tutte le sere andavo a dormire fuori, sulle dune , buttando un materasso a terra e buonanotte; si, mi sono dovuto abituare anche a dormire con scarafaggi e scorpioni che passeggiavano sul mio corpo (addirittura una mattina sono stato svegliato da un asino che voleva mangiare la mia coperta…), ma vi giuro che dormire all’aperto nel Sahara vuol dire stare sotto un cielo stupendo, fantastico, si vedevano tutte le stelle, per la prima volta nella mia vita sono riuscito a vedere la Via Lattea, è uno spettacolo immenso, praticamente le stelle di notte mi facevano da coperta!!! Un cielo cosi non l’avevo mai neanche immaginato, è una sensazione incomunicabile a parole.

Detta cosi, sembra che sia stata una passeggiata di salute, un posto dove la vita scorre tranquilla e imperturbata. E invece no, ci sono state diverse complicazioni, come quella volta in cui si è rotta la jeep in pieno deserto, alle 11 di mattina, a 200 km dal primo villaggio, PANICO!!!!!, E allora che fai????? Beh, semplice, i due saharawi che erano con me sono scesi dalla macchina e si sono messi tranquillamente a fare il tè; io che ero leggermente preoccupato gli ho chiesto cosa avessero intenzione di fare, “Aspettiamo i soccorsi o moriremo nel deserto, se Allah vuole” è stata la risposta. Non fa una piega.Capirete che una persona può essere coraggiosa quanto vuoi, ma essere messi di fronte alla propria fine e aspettarla non è proprio una facile impresa; ciononostante non mi sono demoralizzato e per ingannare il tempo ( e anche lo spazio, visto che non si vedeva nessuno all’orizzonte…) mi sono messo a fare una scritta con le pietre, una specie di epigrafe tombale, STRADA DI CARLO, intitolandomi quel percorso nel caso in cui fossi morto.
Però sentivo che non potevo farlo, non poteva finire così, non potevo chiudere la mia vita cosi prematuramente in quella maniera, ci pensate che figuraccia?? Io già immaginavo i miei amici del gruppo musicale di Roma che dicevano “Ci dispiace, il concerto previsto per sabato prossimo è stato annullato perché il nostro tastierista si è perso nel Deserto del Sahara”, ci pensate???
E infatti mi sono fatto coraggio e sono stato premiato, infatti dopo 2 (due) giorni fermi, tra sabbia e pietre, col caldo del giorno e il freddo della notte, mangiando lucertoloni (!!!!) e bevendo latte di cammello (!!!!!!!!!) è passato per caso un vecchio signore con una camionetta piena di capre che ci ha dato un passaggio al villaggio più vicino per riparare la nostra jeep. Dopo 4 giorni passati a vagare in villaggi in territorio militare, (tra l’altro sono passato a 1km dalla zona delle mine antiuomo senza saperlo), finalmente sono tornato nel mio alloggio nella “capitale” che in quel momento mi è sembrato il posto più comfortevole del mondo!!!!
Ma quella notte nel deserto non la dimenticherò mai: eravamo riusciti a rimediare un po’ di legna da un albero che si trovava a qualche km dalla nostra jeep , e avevamo fatto un bel falò ( la notte dopo le tre la temperatura scende a 10-15 gradi); sotto quel cielo accogliente Auallah, il ragazzo Saharawi che mi aveva fatto da autista, inizia a raccontarmi della sua vita, di quando viveva nei suoi territori, beatamente e indisturbato; poi all’improvviso arrivò l’invasione marocchina e lui dovette scappare, alcuni suoi familiari rimasero uccisi nelle sparatorie, lui si salvò e riusci a fuggire nei territori dove oggi sono i campi profughi; mi ha raccontato di quando è dovuto andare in guerra, a 19 anni, e di quando è stato colpito da una scheggia di una mina; aveva un bozzo in testa grande quanto un limone….
Anche le il cielo e le stelle, curiose, si stavano appassionando a questo racconto, la luna era bassa, sembrava fosse scesa per ascoltare le parole di Auallah… E lui continuava a raccontare la sua voglia di libertà, di come non è possibile esiliare un popolo per 30 anni nel deserto, di come non è possibile rinchiudere le idee in una galera, e mentre ricordava la sua terra e i suoi amici uccisi o fatti prigionieri cominciò a piangere…
Questi discorsi li avevo già sentiti in Italia da mio nonno, che mi raccontava sempre la sua esperienza militare nella campagna di Libia del ’41, di quando arrivò la chiamata alle armi, di quando anche lui fu fatto prigioniero ma riusci a salvarsi, però quei discorsi mi sono sempre sembrati lontani, passati, distanti dalla realtà in cui viviamo adesso in Italia; mentre sentire la testimonianza di una guerra che è stata soltanto “sospesa” nel 1991, , e capire che questa volta si trattava di una lotta per la libertà, nata da una esigenza reale di una popolazione (nulla a che vedere con le nostre guerre mondiali), percepire davvero cosa può spingere un uomo ad uccidere un suo fratello è stato davvero angosciante e straziante.

La frustrazione di essere cacciati da casa vostra e di essere costretti a vivere al limite delle possibilità umane non la auguro nemmeno al mio peggior nemico.


In conclusione, non vorrei dilungarmi sull’aspetto tecnico della mia missione, mi limito a dire soltanto che il progetto sta procedendo bene, stiamo ricevendo dei fondi anche per altri progetti di cooperazione, e probabilmente a febbraio 2008 tornerò nei campi saharawi, speriamo!!!
Questa esperienza non è stata solo un’occasione di crescita a livello tecnico, ma soprattutto un momento di crescita interiore; stare a contatto con gente che vive in condizioni al limite della sopravvivenza, parlare con persone che vivono in esilio, toccare con mano quali sono le conseguenze di una guerra, adattarsi a condizioni di vita molto diverse da quelle abituali, conoscere diverse culture, diverse società, è ovviamente un motore che mi ha dato la voglia di continuare a collaborare nella cooperazione internazionale.



Attualmente i Saharawi sono confinati nel deserto dell’Algeria e il loro ritorno nel Sahara Occidentale, dove il clima è più vivibile e la natura offre maggiori risorse, è reso impossibile a causa di un muro di 4000 km fatto erigere dal governo marocchino; muro perennemente sorvegliato e dotato di sofisticati sistemi di rilevazione. Questo muro separa in due, da nord a sud, il Sahara Occidentale; la parte che da sul mare, per le coste pescose e per i territori ricchi di fosfati, è chiaramente quella occupata dal Marocco. Le nazioni unite nel 1991 hanno indetto una missione chiamata MINURSO ( Missione delle nazioni unite per il referendum nel sahara occidentale) per permettere alla popolazione di sancire la propria autodeterminazione e la propria indipendenza, ma a causa dell’ostruzionismo marocchino questo referendum ancora non è stato mai fatto e il clima è di tensione.
Ovviamente ci sono altri legami politici, quali accordi commerciali, per cui diverse nazioni europee non intervengono, ma non è mio compito discuterne e poi sarebbe troppo noioso…


Esistono diverse iniziative che nascono dall’Italia per il Sahara, la più famosa è la Saharamarathon, una maratona di 42 km interamente nel deserto, dove parte dei soldi dell’iscrizione viene devoluta al governo saharawi oppure diversi pacchetti viaggi , che prevedono soggiorni nel deserto più sperduto, passeggiate con i cammelli, incontri con i pastori nomadi e tante altre cose caratteristiche. E’ un modo per incentivare una sorta di turismo alternativo, diverso dalla solita routine spiaggia-albergo-discoteca, che potrebbe essere interessante e soprattutto è un modo per dare un pò di visibilità all’area del Sahara Occidentale.


Se volete sapere qualcosa in più sui saharawi, vedere qualche video o per avere qualche info
(che non trovate su Google…:!) andate:
- sul mio blog http://lennonforever.spaces.live.com
- sul sito del Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile: www.cirps.it
o mandatemi una email: carlotacconelli@msn.com


sabato 2 giugno 2007

Ingegneria stradale al municipio

Dopo la realizzazione del parcheggio sotterraneo
costato molto e usato poco, e dopo la progettazione
di un nuovo parcheggio in Via delle Fontanelle che
costerà di meno e avrà più posti di quello sotterraneo,
la nuova "infrastruttura civica" potrebbe essere
una rotatoria in Circonvallazione..
Ma cosa ci fa una rotatoria a Magliano?

Per capirlo sono andato su Internet per carcare
delucidazioni. Su Wikipedia c'è una pagina molto
interessante sui pregi e difetti della rotonda..

http://it.wikipedia.org/wiki/Rotatoria

La rotatoria serve, come dice l'articolo, per
"moderare e snellire il traffico".
Ma mi domando: se giù da via Roma (a senso unico)
non scende più nessuna macchina, quale traffico
si vuole "moderare e snellire"?
Inoltre, l'esigenza di rondò è sorta in grandi città quali
New York e Parigi per risolvere i problemi di traffico.
Viene di norma usato come sostituto del semaforo;
ma a Magliano non ci sono semafori!!
Inoltre, forse l'unico buon motivo per creare una rotatoria
sarebbe quello di diminuire i decessi su strada,
ma che io ricordi, su quell'incrocio non ci sono stati mai
incidenti mortali, anche perchè quell'incrocio non è tra
i più pericolosi di Magliano.
Un problema di non poco conto è, inoltre, che
su quell'incrocio si intersecano una strada provinciale
e una strada comunale. Un rondò le metterebbe
sullo stesso piano, obbligando coloro che percorrono
l'incrocio venendo dal ponte e andando verso Fuori porta
(la maggior parte delle macchine che percorrono l'incrocio)
a girare intorno ad un inutile ostacolo.

Spendiamo meglio i soldi di tutti; magari, visto che è estate,
per una PISCINA!
Oppure, se proprio non vogliamo una piscina a Magliano,
questi soldi non spendiamoli per niente.
Serviranno a pagare un pò meno d'ICI.


D'in su i veroni del paterno ostello 2

Traggo il mio spunto di riflessione da
un articolo dell'ultimo numero di Incontri.
L'Amministrazione Comunale decide di
sfrattare l'ente che gestisce l'ostello, per
morosità nel pagamento degli arretrati.
La storia dell'ostello, o come meglio è
definita su Incontri, la "telenovela",
è di dominio pubblico. Inutile riscaldare
la minestra.

Solo poche parole: io, amministrazione,
in passato, dopo aver speso miliardi di lire,
do in affidamento l'ostello ad un ente
che non ci fa NIENTE per anni.
Rendo inutilizzata una struttura che
potenzialmente potrebbe portare lavoro e
turismo a Magliano.
Decido, infine, di sfrattare proprio quell'ente
al quale in passato avevo affidato la gestione
dell'ostello.

Incapacità? Imperizia? negligenza?
In qualsiasi modo la si voglia definire,
eccone i risultati.
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