domenica 3 ottobre 2010

Topi di campagna e topi di città

Roma, e chi la rappresenta, chi ci risiede, chi ci occupa la poltrona, non riesce da tempo (immemorabile) a comprendere le esigenze del nostro territorio. I rappresentanti votati ed eletti, diretti a Roma, o a Rieti, non hanno quasi mai capito le esigenze della periferia.
Avere 150mila abitanti in tutta la provincia o averne in un quartiere della capitale non è la stessa cosa nella realtà, anche se elettoralmente lo è. Ecco forse il paradosso della democrazia: tutti (i maggiorenni) valgono uno, anche se vivono tutti appiccicati in un metro quadrato o devono badare alle esigenze di un territorio molto più vasto.
Quando si va alle urne, chi sta in città vota, elegge i rappresentanti e fa costruire il proprio ospedale. Tutti gli elettori, se hanno qualche problema sanitario, in 5 minuti stanno nel nosocomio, e il problema è finito.
Chi abita in campagna, in periferia, diciamocelo, non gode gli stessi diritti degli altri. Ha gli stessi voti, ma non gli stessi servizi. Se decide di costruire un ospedale, dovrà posizionarlo in una zona che non dista troppo da nessun suo territorio. In poche parole, noi, cittadini periferici, per il semplice fatto di essere nati e non aver deciso (ancora) di lasciare il nostro territorio, paghiamo uno scotto maggiore, in servizi, rispetto al centro.
Questa situazione dovrebbe essere tutelata, curata, compresa, dai nostri rappresentanti, che a maggior ragione dovrebbero spostare servizi verso l'esterno, per mantenere vivi quei territori, curati, gestiti.
E invece no! Si concentra tutto, si coagulano gente, macchine, strade, servizi, caos in un unico posto. Sicuramente è molto più semplice gestire politicamente una megalopoli. Vuoi i suoi voti? Soddisfa solo le sue esigenze. Per gli altri, di fuori, peccato. Peccato invece che la odierna presidente della Regione, se sta dove sta, lo deve essenzialmente ai voti delle province. Ma proprio contro di queste riversa il suo disinteresse, spinta da una pressione politica e contabile calata dall'alto, dimostrando la sua inettitudine a gestire una situazione come questa, in cui bisognerebbe invece ascoltare, smussare, giungere a sofferti compromessi.
Invece ecco la mannaia. Strumento rozzo e doloroso, che crea nei colpiti un netto risentimento. L'arto amputato (l'ospedale, nel nostro caso) crea nella vittima uno sdegno insopportabile. Ed allora sale solo un desiderio di protesta, forse l'unico valido per far capire a queste persone in nome di chi si governa.
SECESSIONE! I tempi sono maturi. Molti altri comuni amputati già ci stanno seriamente pensando.


Niccolò

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