venerdì 4 marzo 2011

Quale strategia ci allontana dall'Umbria?

Mi domando. Ma quale strategia è stata seguita per portare avanti il tema del Cambio Regione? Le recenti dichiarazioni del sindaco, sebbene possano palesare tutti i dubbi che anche nell'amministrazione si fanno pressanti in vista della decisione sul referendum, sembrano manifestare reale incertezza (a meno che ora, a meno di un mese dalla chiusura, si abbia un asso nella manica!?), e soprattutto, a mio parere, un pericoloso svarione strategico. Con queste dichiarazioni, per prima cosa, si presta il fianco alla Polverini, che se prima poteva temere una secessione di un proprio comune come arma contro il decreto 80, oggi sa chiaramente che quella dell'amministrazione è solo una boutade. E' vero che fino al oggi la governatrice sembra essersene fregata di ogni movimento popolare o pressione politica maglianese, ma scoprire tutte le carte non mi sembra affatto utile, in nessuna partita.

Inoltre, non ci potevate pensare prima? Se davvero si pensa che il cambio regione sia, indipendentemente dall'ospedale, una soluzione utile per il nostro paese, si va avanti e basta. Ma se invece si è usato questo argomento come mera forma di pressione per l'ospedale, perché andare tanto oltre, iniziando l'iter amministrativo e chiedendo addirittura il referendum? Forse si pensava che Melilli andasse avanti sull'onda dell'entusiasmo? Quale motivo avrebbe per fare questo, rischiare la sua rispettabile carriera politica con un referendum (incerto, se esteso a tutta la provincia)?

Emerge inoltre un altro problema (risaputo). C'è bisogno dell'appoggio di un partito o di un parlamentare che in parlamento faccia approvare la legge. E finora sembra che in molti si siano tirati indietro. Prima di iniziare l'iter amministrativo, non dopo, sarebbe stato necessario fare una consultazione con i diretti interessati. Inoltre, è tuttora necessario continuare a contattare tutti i possibili interessati, in tutto il territorio della regione Umbria (se si ha interesse ad andarci).

Ulteriore problema sono gli Lsu. Premesso che su questa questione sarebbe interessante andare a ricercare quale è stata la fonte dei problemi (cioè di chi l'ha creati e di chi l'ha inseriti così pletoricamente)... Mi domando: già adesso la regione Lazio provvede a fare proroghe di 6 mesi in 6 mesi, sperando che ogni volta rinnovi il "contratto" a questi "lavoratori-non-lavoratori" (perché se nella realtà lavorano, secondo la legge ricevono solo un sussidio, e non ricevono alcun contributo previdenziale: mi immagino infatti a 65 anni senza pensione quale possa essere la situazione di queste persone - alle quali consiglio, sebbene l'età renda difficile la cosa, di essere fautori del proprio destino e andare a cercarsi un lavoro per proprio conto, visto che la regione potrebbe non rinnovare all'infinito i rapporti lavorativi).
Pensiamo forse che si possa andare avanti così? Direi di no. Bisognerebbe intergrarli, si dice. Ma questa integrazione comporta un inserimento di personale generico in posizioni tecniche, a volte anche elevate, e ciò lo ritengo ingiusto nei confronti di persone professionalmente più preparate che fanno studi e concorsi per poter accedere alla PA in qualità di architetto, geometra etc. La soluzione è che non c'è soluzione. Il comune non può sobbarcarsi 34 lavoratori perché tra 5 anni chiunque amministra sarebbe messo nella condizione di non poter toccare nulla in bilancio. Bisognerebbe infatti pagare 400mila euro l'anno per i salari, che divisi per 4mila cittadini significa 100 euro ciascuno destinati a tale scopo. E allora? Allora innanzitutto è da mettere sotto accusa chi con le proprie scelte politiche ha creato una massa di lavoratori senza diritti, tolti dal mercato del lavoro ma mai inseriti nel vero mercato del lavoro.
Aggiungo come il sistema che si è creato sia diventato un sistema diabolico: con il combinato disposto del blocco delle assunzioni e la preferenza per gli Lsu, il comune di Magliano ha l'obbligo di dare preferenza a Lsu quando si liberano posti di lavoro (morte, pensionamento, dimissioni), avendo estrema difficoltà ad inserire personale direttamente preparato al compito che deve essere svolto (con un inevitabile rallentamento della macchina dei servizi della PA).
Come dicevo, non c'è una soluzione semplice. Gli Lsu si potrebbero riunire in cooperativa per fornire dei servizi esterni al comune (in questo caso sarebbero nel libero mercato della concorrenza). Oppure si dovrebbero inserire forzatamente nella macchina amministrativa, con le conosciute conseguenze per le casse comunali. Oppure rimangono nel limbo ogni sei mesi, aspettando che prima o poi vengano mandati a casa (è da anni che si parla di inserimento degli Lsu per poter eliminare questa forma deformata di lavoro). E se si cambia regione, non è detto che l'Umbria accolga questi lavoratori, per i quali il destino appare già qui nel Lazio incerto. Ma politicamente, immagino che ci siano differenze se li manda a casa il comune (non risolvendo il problema nella nuova regione) o lo faccia la regione Lazio; però nella sostanza nulla cambia.

Concludo ribadendo di essere a favore del cambio regione, malgrado tutto. Da ieri, oggi, anche domani. Molti sarebbero i vantaggi che avremmo un quella regione attenta al verde e alla riqualificazione dei centri storici, non romanocentrica, vicina nei servizi, vivibile. Ma che sia una cosa seria, in cui ci si crede veramente, non (solo) una mossa strategica per salvare l'ospedale (cosa, tra l'altro, fin qui, non riuscita).

Niccolò

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