lunedì 28 luglio 2008

Idea: adotta un orto

Vorrei lanciare l'idea riassumibile nel motto “Adotta un orto". A Magliano, come in tanti altri paesi limitrofi, i comuni sono proprietari di immobili e di terreni. Nella maggior parte dei casi gli immobili sono fatiscenti o non curati e i terreni sono in mano a simpatizzanti elettorali o ad amici che puntualmente non pagano gli affitti. Sia per i terreni che per gli immobili, si chiude un occhio, si cerca di non farlo sapere ai cittadini e si va avanti così per anni e anni. Magari questi concessionari riaffittano i nostri beni e mettono in tasca i proventi alla faccia dei veri proprietari che sono i cittadini. L'idea è di riappropriarci dei beni sopra citati, di costituire una cooperativa sociale o un consorzio di agricoltori e di affittare degli appezzamenti di terreno a pensionati ed a gente che, stando in città, non ha la possibilità di avere un orto (magari venendo da Roma per passare il fine settimana). Potrebbe anche usufruire delle abitazioni messe a disposizione dal comune e sistemate dalla cooperativa o consorzio; la gente che viene potrà comperare i prodotti agricoli dei vari negozi, macellerie etc. Certo, bisogna mettere bene a punto l'idea, ma non è difficile soprattutto perché questo paese ha da sempre una vocazione agricola ed è per questo che deve essere conosciuto.

Bisogna mettere in risalto la qualità dei prodotti e non la puzza e l'inquinamento. Pensa se qualche "pazzo" si mettesse a vendere sull'autostrada dei barattoli di vetro con un'immagine scioccante dell'allevamento avicolo di Magliano, dove ci fosse scritto. “Contiene i miasmi dei tacchini prodotti da Amadori a Magliano Sabina, paese agricolo dove insistono allevamenti di qualità”.

Pietro Galadini

3 commenti:

Anonimo ha detto...

No.
Sull'etichetta va posto il simbolo del tacchino e aggiungerne altra di traverso di colore rosso e nero con su scritto "CONTIENE ESPLOSIVO"

Anonimo ha detto...

Si parla continuamente di inquinamento, dell’acqua, del terreno, dell’aria che respiriamo.
Individuiamo anche le cause, i tubi di scarico, i diserbanti, i concimi chimici e le attività insalubri in genere, come, nel nostro caso la Masan.
Nessuno ha mai affrontato il problema dell’inquinamento olfattivo.
Negli ultimi anni il problema delle emissioni maleodoranti ha assunto progressivamente una notevole rilevanza, sia dal punto di vista delle segnalazioni dei cittadini che sotto il profilo della mala gestione degli impianti di depurazione e del trattamento dei rifiuti, nonché di alcune attività produttive scarsamente controllate (raffinerie, allevamenti avicoli e di altri animali, concerie, impianti di compostaggio fuori legge, ecc.).
Gli odori, infatti, rappresentano un fattore inquinante con un impatto ambientale fortemente negativo che, oltre ad implicare una problematica sanitaria come nel caso di altre forme di inquinamento, costituisce un disagio ambientale da affrontare, anche in relazione alle aspettative di qualità della vita contenute nel concetto di sostenibilità ambientale.
In questo caso avvertiamo l’urgenza di confrontarsi con la problematica dell’inquinamento olfattivo in modo adeguato, per monitorare le lavorazioni più a rischio di molestia olfattiva e definire un punto di partenza su cui articolare interventi futuri, sia da parte delle aziende sotto controllo, per la verifica dell’efficacia degli impianti di depurazione esistenti o per la scelta delle procedure di contenimento più appropriate, sia da parte della Provincia, per introdurre adeguate prescrizioni in materia di emissioni odorigene che impongano l’utilizzo della migliore tecnologia disponibile. Una necessità che le numerose e continue sollecitazioni dei residenti nelle zone limitrofe alle aziende “maleodoranti” hanno ribadito, e che dovrebbero sollecitare l’Amministrazione provinciale a realizzare un monitoraggio olfattometrico sulle aziende a rischio, con l’obiettivo di quantificare le emissioni maleodoranti per definire in modo oggettivo la tollerabilità e dunque una scala di riferimento per eventuali limitazioni. Le analisi possono essere svolte attraverso l’olfattometria dinamica, una tecnica molto recente che fa riferimento alla norma europea EN 13725, e che attualmente viene applicata sugli impianti di compostaggio. Questa nuova tipologia di indagine si è inserita recentemente tra le opportunità di analisi degli odori ed è l’unica che consente una identificazione oggettiva dell’odore. La metodologia si basa su un approccio sensoriale: attraverso una macchina apposita che funziona come un diluitore, gli analisti annusano campioni odorosi diluiti in una serie di concentrazioni sempre più elevate. Per approfondire l’aspetto tecnico è necessario evidenziare che l’analisi si svolge attraverso diversi passaggi, fino ad arrivare ai valori dannosi. Se attraverso queste tecniche riuscissimo ad eliminare, o perlomeno a diminuire l’emissione di inquinamento olfattivo nel nostro territorio, verrebbe eliminato un notevole disagio ai residenti confinanti e protetta la loro salute, oltre che togliere un grosso deterrente al turismo e al mercato edilizio e agrario locale.

Anonimo ha detto...

Bravo Lorenzo, ma come pensavo questo argomento non interessa i cittadini di Magliano, eppure con i nostri soldi il Sindaco nel 2005 tramite l'avv Mario Rosati ha vinto un ricorso al TAR proprio contro quell'allevamento avicolo (attività insalubre che a Magliano lascia solo miasmi), ma poi che fine ha fatto quella sentenza? Come mai ancora soprattutto in quella zona l'aria è perennemente insalubre e perchè spendere i soldi per vincere un ricorso e poi non fare niente per farlo rispettare?
Ma quante persone di Magliano lavorano in quell'allevamento?
Cosa porta alle casse del comune, tra Ici, tassa rifiuti e che danni provoca all'immaggine di Magliano ?
Si parla tanto di far conoscere Magliano per i suoi prodotti. E' inutile continuare a far feste e sagre se poi non si guarda in faccia la realtà, ci sono aziende come gli Angeli e la Pergola, che si sono distinte proprio per aver curato la Qualità e l'Immaggine.
Riporto il testo della sentenza, che i cittadini non conoscono;



POTERE DI VIGILANZA DEL SINDACO SULLE MODALITÀ
DI ESERCIZIO DELLE “INDUSTRIE INSALUBRI”

Nota a TAR Lazio – Sezione II Ter - sentenza del 6 luglio 2005, n. 5508


A cura della Dott.ssa Valentina Vattani


Il TAR del Lazio, con la sentenza in commento, chiarisce i presupposti dell’esercizio, da parte del Sindaco, del potere di impartire le prescrizioni necessarie a disciplinare lo svolgimento delle attività private classificate come “industrie insalubri” ex art. 216 del TULS n. 1265/1934 (Testo unico delle leggi sanitarie).

L’occasione è data dall’impugnazione, da parte di una società di allevamento di ovini, del provvedimento di divieto di avvio dell’attività emanato dal Sindaco sulla base del riscontro di possibili gravi rischi di contaminazione di amianto dei locali in cui il ricorrente intendeva procedere all’allevamento di tacchini.
Il timore che la contaminazione si potesse propagare alla popolazione, tramite il consumo della carne di detti animali, aveva indotto, infatti, l’Amministrazione del Comune interessato a condizionare l’autorizzazione dell’avvio dell’attività zootecnica in parola all’esecuzione di lavori di bonifica delle parti in amianto danneggiate dei locali.
Il giudice amministrativo, in accoglimento delle istanze della difesa, ha respinto il ricorso presentato dalla società ritenendo infondate le cesure avanzate. In particolare, il TAR del Lazio ha provveduto a precisare che:

- ove sussistano gravi ragioni di sanità ed igiene pubblica insite nel provvedimento di cessazione di attività produttive insalubri o di mancata autorizzazione all’attività (come nel caso di specie), non si applica la disciplina dettata dall’art. 7 della legge n. 241/1990 (Norme sul procedimento amministrativo), che prevede la comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti, “in quanto queste (gravi ragioni di ordine igenico-sanitario) integrano quelle particolari esigenze di celerità del procedimento amministrativo in presenza delle quali la p.a. (nella specie, il Sindaco) è sollevata dall’obbligo della comunicazione in parola”.

- In ordine alla questione sollevata è opportuno ricordare che rientrano nelle attribuzioni dei Sindaci i poteri di controllo e repressione previsti dagli artt. 216 e 217 del TULS n. 1265/1934: sia in relazione all’attuazione della delega di cui alla legge n. 382 del 1975, avvenuta con d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, art. 32, sia perché nessuna modifica è stata apportata dalla legge 833/1978 (sulla istituzione del Servizio sanitario nazionale) [Cfr. Consiglio di Stato - Sez. V- sentenza 15 febbraio 2001, n. 766].
Orbene, l’atto impugnato era stato adottato dal Sindaco al fine di disciplinare lo svolgimento di un’attività industriale classificata come “insalubre”, in modo da tutelare la salute della popolazione locale dal pericolo d’immissione, nell’atmosfera e soprattutto nella catena alimentare, di particelle di amianto suscettibili di dispersione a causa del forte degrado delle strutture in cui erano presenti (rischio accertato dalla competente Unità Sanitaria locale).
Al riguardo l’art. 216 del TULS n. 1265/1934 prescrive che: “chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al sindaco, il quale, quando lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica, può vietarne l’attivazione o subordinarla a determinate cautele”.
Il provvedimento in esame rappresenta, quindi, l’espressione del potere ivi previsto di vigilanza igienico-sanitaria sulle concrete modalità di esercizio delle attività classificate come “industrie insalubri”; potere in virtù del quale, nel caso di riscontrato pericolo per la salute pubblica, possono essere prescritte norme per la prevenzione del danno o del pericolo e possono essere irrogate sanzioni repressive, oltre che la sanzione pecuniaria prevista dall’ultimo comma dell’art. 216 TULS – il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da L. 40.000 a L 400.000 - ivi inclusa l’esecuzione d’ufficio.
Nel merito, il giudice amministrativo ha affermato che: “il provvedimento impugnato rientra tra quelli la cui adozione è riservata dal richiamato art. 216 del T.U. 27 luglio 1934 n. 1265 - il quale dettando una disciplina speciale in materia di tutela della salute pubblica, prevale, in ragione della sua specialità, sulle disposizioni concernenti l’ordinario riparto di competenze all’interno dell’amministrazione comunale - alla competenza esclusiva del Sindaco, autorità a cui spetta, nella veste di ufficiale del Governo e quale massima autorità responsabile della salvaguardia della sanità e dell’igiene pubblica locale, l’adozione dei provvedimenti volti a vietare o subordinare a determinate cautele l’attivazione di lavorazioni insalubri, nonché l'imposizione di tali prescrizioni all’atto del rilascio dell'autorizzazione provvisoria”.

- Nel caso di specie, infine, è legittimo non esercitare il potere di ordinanza contingibile ed urgente; infatti, trattandosi di un rimedio eccezionale ed atipico, esso rappresenta uno strumento meramente residuale cui si può ricorrere solo se sussistono determinati presupposti, tra i quali, la mancata previsione nella disciplina della materia di un provvedimento ad hoc.
Al riguardo, invece, si deve constatare come, per fronteggiare lo svolgimento di attività di potenzialmente pericolose per la salute e l’igiene pubblica, il legislatore abbia previsto, all’art. 216 del TULS, degli appositi mezzi che costituiscono strumenti ordinari volti, proprio, ad evitare il ricorso a provvedimenti extra ordinem.


Valentina Vattani







IN CALCE È RIPORTATA LA MOTIVAZIONE INTEGRALE DELLA SENTENZA
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER IL LAZIO
ROMA
SEZIONE SECONDA TER

Registro Sentenze:
Registro Generale: 5650/2004
nelle persone dei Signori:
Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO - Presidente
Consigliere Antonio AMICUZZI - Correlatore
Primo Referendario Floriana RIZZETTO - Relatore

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso 5650/2004 proposto da:
SOC ONYX SRL + 1
CUNNINGHAM DOLORES ANNE
rappresentato e difeso da:
SANTIAPICHI AVV. XAVIER
con domicilio eletto in ROMA
VIA ANTONIO BERTOLONI, 44/46
presso
SANTIAPICHI AVV. XAVIER
controCOMUNE DI MAGLIANO SABINA rappresentato e difeso da:ROSATI AVV. MARIO con domicilio eletto in ROMA VIA SALARIA, 161 presso la sua sedeAZIENDA USL DI RIETI EX USL RI/1 rappresentato e difeso da:VITALE AVV. ELIO PATERNOSTRO AVV. DOMENICO con domicilio eletto in ROMA V.LE G. MAZZINI, 6 pressoPATERNOSTRO AVV. DOMENICO e nei confronti di MARTINI FRANCESCO

per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione,
del provvedimento prot. n. 3454 del 16 marzo 2004 di divieto di avvio dell’attività di allevamento animali nei capannoni siti in Magliano Sabina, di proprietà della Onyx s.r.l.;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio per l’Amministrazione intimata;
Viste le memorie delle parti;
Visti· gli·atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 7 marzo 2005 il Primo Referendario Floriana Rizzetto;
Udite le parti come da verbale d’udienza;
Considerato e ritenuto in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato il 21.5.04 e depositato il 31.5.04, la società ricorrente impugna l’atto indicato in epigrafe, con il quale è stato intimato alla stessa di non iniziare l’attività di allevamento di tacchini nei locali indicati in epigrafe, prima di aver eseguito in questi le attività di bonifica delle parti in amianto “fortemente ammalorate”.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
1) Violazione dell’art. 7 e ss. della legge n. 241/90;
2) Incompetenza. Violazione e falsa applicazione della L. 257/92 e della L.r. n. 45/98 nonché della delibera della G.R. n. 5892/98; Eccesso di potere per sviamento;
3) Travisamento dei presupposti; Violazione e falsa applicazione dell’art.216 TULS 1265/34 e dell’art. 2 del d.lvo n. 502/92;
4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 107 del TUEELL; incompetenza interna;
5) Violazione per falsa applicazione degli artt. 50 e 54 del TUEELL;
6) Violazione dell’art. 3 e ss. della legge n. 241/90; difetto di istruttoria e di motivazione;
Con ordinanza n. 3705 del 5.7.04 è stata respinta l’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.
L’amministrazione intimata si é costituita in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone il rigetto in quanto infondato; vinte le spese. Si è costituita in giudizio l’A.U.S.L. intimata al solo fine di chiedere la sua estromissione.
Con memoria in vista dell’udienza le parti hanno ulteriormente precisato le rispettive conclusioni.
Alla udienza pubblica odierna la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Va innanzi tutto esaminata l’istanza di estromissione dell’A.U.S.L., costitutitasi solo a tal fine.
L’istanza va accolta, in quanto, pur rappresentando un’istituzione competente sotto il profilo tecnico-sanitario, l’a.u.s.l. in parola non ha partecipato al procedimento in causa, essendo invece stata investita della relativa questione solo in epoca successiva, con la richiesta di parere tecnico effettuata con nota n. 10621 del 28.7.04, e pertanto non costituisce, allo stato degli atti, un “naturale destinatario” degli effetti che scaturiscono dalla decisione, sicchè, in ragione del cennato difetto di legittimazione passiva, ne va disposta l'estromissione dal giudizio.
In via preliminare occorre esaminare l’eccezione, sollevata dall’amministrazione, di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, essendo stato impugnato un atto di diffida, pertanto privo di attualità lesiva.
L’eccezione va disattesa.
Come meglio precisato nel corso dell’esame del merito del ricorso, l’eccezione scaturisce da una errata qualificazione del provvedimento impugnato, il quale non costituisce un “atto di diffida” in senso proprio, bensì ha natura giuridica di provvedimento autorizzatorio condizionato, adottato dal Sindaco nell’esercizio del potere conformativo riconosciutagli dall’art.216 del TULS 1265/34, il quale attribuisce a tale autorità il potere di impartire le prescrizioni necessarie a disciplinare lo svolgimento delle attività private classificate come “industrie insalubri”, sicchè è innegabile la sua attitudine lesiva, diretta ed attuale.
Si passa pertanto ad esaminare il merito del gravame.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 7 e ss. della legge n. 241/90.
La censura va disattesa.
Come affermato da risalente giurisprudenziale orientamento, ormai consolidato, cui il Collegio aderisce, la comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti, ai sensi dell'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, non è applicabile ove sussistano gravi ragioni di sanità ed igiene pubblica insite nel provvedimento di cessazione di attività produttive insalubri (nella specie di mancata autorizzazione all’attività) in quanto queste integrano quelle particolari esigenze di celerità del procedimento amministrativo in presenza delle quali la p.a. (nella specie, il sindaco) è sollevata dall'obbligo della comunicazione in parola (cfr, con specifico riferimento agli ordini d'immediata cessazione dell'attività di allevamento di animali, Cons. st., sez. V, 14 aprile 1997, n. 354).
In tale prospettiva, il Collegio condivide quanto rappresentato dalla difesa dell’amministrazione in merito all’urgenza di evitare “la commercializzazione nel territorio comunale di un ingente quantitativo di pollame allevato in ambiente fortemente inquinato”, tenuto conto altresì che con l’atto impugnato non viene disposta l’interruzione di attività in corso, ma solo subordinato lo svolgimento, futuro, dell’attività di allevamento a delle prescrizioni in merito alla “decontaminazione” del sito.
Si passa ad esaminare il secondo motivo di ricorso, ove si lamenta l’incompetenza del Sindaco, il quale avrebbe, in violazione della legge n. 257/92, della L.r. n. 45/98 nonché della delibera della G.R. n. 5892/98, esercitato “il potere di vigilanza e controllo in materia di smaltimento e bonifica dell’ambiente dai materiali contenenti amianto” spettante alla Regione.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il richiamo all’ordine di competenze fissato dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, recante “Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto”, per quanto concerne la pianificazione delle attività di bonifica delle opere contenenti amianto, e della normativa regionale di attuazione invocata dal ricorrente (delibera della G.R. n. 5892 del 10.11.1998, contenente il “Piano regionale di protezione dell'ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall'amianto” con allocazione delle risorse finanziarie necessarie), nonché, più in generale, dalla L.R. 6 ottobre 1998, n. 45, concernente l’istituzione dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Lazio (A.R.P.A.), risulta infatti inconferente.
Va a tal fine precisata, in via prioritaria, l’esatta natura giuridica del provvedimento impugnato, il quale non costituisce un provvedimento adottato dall’amministrazione comunale al fine di gestire “le attività di bonifica e smaltimento dei prodotti contenenti amianto”, interferendo nelle attività di pianificazione (e di allocazione delle relative risorse finanziarie) riservate alle competenti autorità regionali, bensì costituisce un atto adottato dal sindaco al diverso fine di disciplinare lo svolgimento di un’attività industriale classificata come insalubre in modo da tutelare la salute della popolazione locale dall’immissione, nell’atmosfera e soprattutto nella catena alimentare, di particelle di amianto suscettibili di dispersione a causa del “forte degrado manutentivo” delle strutture in cui sono inserite.
L’atto impugnato, il quale peraltro non richiama alcuna norma che prevede la bonifica dei siti contaminati da amianto, è stato adottato dal sindaco per la tutela di preminenti interessi di sanità ed igiene pubblica nell’ambito delle competenze di vigilanza sulle industrie insalubri, spettantegli ai sensi dell’art. 216 del T.U.L.S. n. 1265 del 1934.
L’art. 216 del T.U.L.S. n. 1265 del 1934 soprarichiamato prescrive infatti che “chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura compresa nel sopra indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al sindaco, il quale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, può vietarne l'attivazione o subordinarla a determinate cautele”.
Il provvedimento in esame, pertanto, ancorché non richiami espressamente detta disposizione, sostanzialmente rappresenta l’espressione del potere ivi previsto di vigilanza igienico-sanitaria sulle concrete modalità di esercizio delle attività classificate come “industrie insalubri”, potere in virtù del quale, nel caso di riscontrato pericolo per la salute pubblica, possono essere prescritte norme per la prevenzione del danno o del pericolo e possono essere irrogate sanzioni repressive, oltre che la sanzione pecuniaria prevista dall’ultimo comma del precitato articolo, ivi inclusa l'esecuzione d'ufficio.
Tale essendo la natura del potere esercitato, in concreto, con il provvedimento di diffida impugnato, risulta irrilevante che detto atto non menzioni espressamente la norma in parola, in quanto essa è implicitamente posta a fondamento del potere esercitato, come risulta dalle premesse del provvedimento adottato “ritenuti sussistenti i presupposti per l’adozione di un provvedimento cautelare teso a diffidare il conduttore dell’immobile ad avviare l’attività di allevamento che si configurerebbe comunque come industria insalubre”.
Ne consegue che il provvedimento impugnato rientra tra quelli la cui adozione è riservata dal richiamato art. 216 del T.U. 27 luglio 1934 n. 1265 - il quale dettando una disciplina speciale in materia di tutela della salute pubblica, prevale, in ragione della sua specialità, sulle disposizioni concernenti l’ordinario riparto di competenze all’interno dell’amministrazione comunale - alla competenza esclusiva del Sindaco, autorità a cui spetta, nella veste di ufficiale del Governo e quale massima autorità responsabile della salvaguardia della sanità e dell’igiene pubblica locale, l’adozione dei provvedimenti volti a vietare o subordinare a determinate cautele l'attivazione di lavorazioni insalubri, nonché l'imposizione di tali prescrizioni all'atto del rilascio dell'autorizzazione provvisoria.
Ne consegue che il motivo in esame risulta infondato.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art.216 TULS 1265/34 e dell’art. 2 del d.lvo n. 502/92, sotto il profilo del travisamento dei presupposti.
Con tale mezzo di gravame il ricorrente, richiamando l’attribuzione generale delle competenze in materia di tutela ambientale di cui all’art. 2 del d.lvo n. 502/92, rappresenta che, nel caso concreto, non sussisterebbero i presupposti per l’adozione dei provvedimenti contemplati dall’art. 216 in parola, il quale attribuisce al Sindaco il potere di inibire un’attività industriale di allevamento solo ove tale attività metta a rischio l’igiene dell’abitato e la salute della collettività locale, circostanza che non si sarebbe riconducibile ai pannelli di amianto deteriorati presenti nei locali in cui il ricorrente svolge la sua attività di allevatore di tacchini.
La censura non può essere condivisa.
Con il provvedimento impugnato, espressione della potestà conformativa e di vigilanza dell’attività privata potenzialmente pericolosa per la salute della comunità locale e per l’igiene pubblico, il Sindaco ha individuato alcune prescrizioni per lo svolgimento dell’attività zootecnica in contestazione, consistenti nell’esecuzione dei lavori di bonifica, peraltro già programmati dalla stesso ricorrente, del “manto di copertura costituito da lastre in eternit contenente amianto”.
Dette prescrizioni sono state dettate, come si evince dalla pur involuta ed implicita motivazione del provvedimento impugnato, dalla urgente necessità di evitare la dispersione delle relative fibre nei locali in cui viene allevato il pollame e soprattutto la caduta di piccoli frammenti dello stesso sul pavimento sottostante ed il conseguente ingerimento di frammenti di tale sostanza, scambiata per becchime dagli animali in parola, con conseguente entrata nella catena alimentare umana (consistenti prevalentemente nella popolazione locale) mediante il consumo della carne proveniente dall’allevamento in parola, con conseguente rischio per la salute di detti consumatori.
Il rischio della dispersione di tali frammenti è tutt’altro che astratto ed ipotetico, come ammesso nello stesso documento di valutazione dei rischi predisposto dal ricorrente e confermato nella nota n. 2550 del 26.7.2004 (depositata dall’amministrazione in data 23.11.04) dell’a.u.s.l. competente ove sono svolte significative contestazioni sulla nocività dei fattori di danneggiamento riscontrati nelle strutture in contestazione, in particolare rappresentando il rischio che il materiale di copertura dei capannoni (lastre in amianto cemento) “se esposto ad agenti atmosferici subisce un progressivo degrado per azione delle piogge acide, per sbalzi termici, per l’erosione causata dall’azione del vento, per la presenza di microrganismi vegetali (fenomeno del fall-out)”, sicchè nel corso del tempo “materiali non friabili possono diventare friabili dopo che l’acqua ne ha sciolto i leganti.....e possono rilasciare fibre se segati, perforati, spazzolati, abrasi oppure se deteriorati”.
Tali essendo i gravi rischi di contaminazione dei locali in cui il ricorrente intendeva avviare l’attività di allevamento di tacchini, il timore dell’amministrazione che la contaminazione si potesse propagare alla popolazione locale, tramite il consumo della carne di detti animali, non appariva del tutto infondato.
Ne consegue che, correttamente, in presenza di simile pericolo, l’amministrazione ha condizionato l’autorizzazione all’avvio dell’attività zootecnica in parola all’apprestamento di locali adeguati e sicuri anche sotto il profilo dell’elemento inquinante in contestazione, nel rispetto del principio generale di precauzione e di prevenzione ricavabile dalla normativa comunitaria e dalla giurisprudenza costituzionale in materia.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta l’incompetenza del sindaco, per aver adottato, in violazione e falsa applicazione dell’art. 107 del TUEELL, un atto di competenza dirigenziale.
La censura va disattesa alla luce delle considerazioni sopra svolte in relazione al secondo motivo di ricorso, in merito alla competenza esclusiva del sindaco in materia, competenza che, pertanto non può essere neppure dallo stesso delegata ad altri organi (cfr.Cons. st., sez. V, sent. n. 1559 del 02-11-1998).
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 50 e 54 del TUEELL, asserendo che il Sindaco, al fine di impedire il riavvio dell’attività di allevamento avrebbe dovuto ricorrere ad un’ordinanza con tingibile ed urgente.
La censura va, anche a prescindere dalla sua palese inammissibilità per difetto di interesse – in quanto dall’eventuale adozione di una simile ordinanza, in luogo del provvedimento tipico il ricorrente non ricaverebbe alcun vantaggio -, respinta in quanto infondata.
Com’è noto, infatti, l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente attribuito al sindaco dall’invocata disposizione presuppone la necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di natura eccezionale e imprevedibile, cui non si potrebbe far fronte col ricorso agli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento: trattandosi di un rimedio eccezionale ed atipico, esso rappresenta uno strumento meramente residuale, cui si può legittimamente ricorrere solo ove ne sussistano i prescritti presupposti, tra i quali, appunto, la mancata previsione nella disciplina della materia di un provvedimento ad hoc (cfr.ex multis, TAR Liguria, 3 maggio 2003 n. 558; nonché di recente, di questa stessa Sezione, nell’anno in corso, sentenze n. 1568 e n. 1476).
Nella fattispecie in esame, pertanto, legittimamente il Sindaco, ha disciplinato l’esercizio dell’attività qualificata dall’art.216 del TULS 1265/34 come “industria pericolosa” imponendo le prescrizioni ritenute necessarie ricorrendo ai mezzi specificamente previsti nel medesima disposizione quale strumento ordinario per fronteggiare lo svolgimento di attività potenzialmente pericolose per la salute e l’igiene pubblica ed evitando il ricorso a provvedimenti extra ordinem, la cui adozione, nonostante l’esplicita previsione normativa soprarichiamata, sarebbe stata illegittima.
Con l’ultimo motivo di ricorso si censura l’atto impugnato sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione.
Anche tale censura va disattesa.
L’atto impugnato è stato adottato a seguito di un’istruttoria sommaria, ma adeguata alle esigenze di provvedere con tempestività alla disciplina dell’attività zootecnica di cui il ricorrente aveva prospettato l’imminente avvio, in modo di assicurarne la compatibilità con il concomitante interesse pubblico alla salute dei consumatori e all’igiene della comunità locale, subordinando lo svolgimento dell’attività in questione al rispetto di prescrizioni minime, quali, appunto, nella fattispecie, quella di evitare di allevare pulcini in ambienti a rischio di contaminazione di amianto.
Non sussiste pertanto alcun difetto di istruttoria, attesa l’emergenza delle circostanze soprarappresentate e l’incidenza, nella specifica materia di che trattasi, del principio di precauzionalità soprarichiamato, il quale determina uno spostamento dell’onere della dimostrazione della “innocuità” dell’attività di allevamento “in condizioni ambientali a rischio” in capo al ricorrente che tale attività intende svolgere, considerato altresì che le prescrizioni imposte con l’atto impugnato non comportavano alcuna definitiva preclusione dell’esercizio dell’attività zootecnica in contestazione, consentendo comunque al ricorrente la possibilità di rappresentare, anche successivamente alla comunicazione dell’impugnato provvedimento, adeguati elementi di giudizio all’amministrazione, al fine di chiedere, in base ad una rivalutazione della pericolosità dello stato dei luoghi, l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività in contestazione (opportunità di cui, peraltro, il ricorrente non si è giovato, visto che con la nota n. 2550 soprarichiamata, la competente autorità sanitaria ha dovuto ulteriormente sollecitare al ricorrente la produzione di specifica documentazione integrativa già richiesta - volta a chiarire la natura dei materiali utilizzati nella struttura in contestazione, l’estensione percentuale del danneggiamento delle lastre di copertura dei capannoni, l’utilizzo di vernice inertizzante per evitare lo sfaldamento della copertura, etc. - proprio a causa del fatto che il ricorrente non aveva fornito satisfattivi chiarimenti in merito e che, nonostante la contestata idoneità delle strutture, vi aveva ricoverato ben 10.000 pulcini di tacchino e vi svolgeva, senza alcuna autorizzazione sanitaria, l’attività di allevamento in contestazione).
Per quanto concerne il lamentato difetto di motivazione, esso deve essere ritenuto insussistente, in quanto la finalità delle prescrizioni adottate si evince chiaramente – oltre che dalla stessa rischiosità dell’allevamento di pollame in siti a rischio di contaminazione - dalle premesse del provvedimento impugnato, che, seppur con formulazione involuta ed invero implicita, comunque rappresenta una sintetica, ma adeguata motivazione dell’atto, mediante il riferimento ai rischi per la salute umana derivanti dall’allevamento di animali (la cui carne è destinata al consumo) in locali contaminati.
Ne consegue che il provvedimento impugnato risulta immune dai vizi prospettati con il motivo di ricorso in esame.
Il ricorso va pertanto respinto in quanto infondato.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione II Ter, previo estromissione della A.USL di Rieti respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 marzo 2005.
Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente
Floriana RIZZETTO Estensore

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