mercoledì 26 dicembre 2007

"Adamo": riflessioni a Santo Stefano

Oggi pomeriggio sono andato a vedere la ormai consueta commedia natalizia maglianese, gradito frutto dell'impegno di Alfredo Graziani e del "Gruppo Teatrale Magliano Sabina".

"Adamo" (questo è il nome dell'opera e del protagonista) parla delle avventure di una famiglia maglianese: i genitori Adamo e Novella festeggiano i propri 50 anni di matrimonio e chiamano a raccolta i loro due figli, con le rispettive famiglie. Linda è sposata con un maglianese, ma vive a Treviso, nel nord; ha una figlia di nome Sabina. Svevo, seppur cinquantenne, è scapolo, e vive a Napoli.

Le condizioni dei due figli si rivelano subito precarie: il matrimonio tra Linda e il marito (l'ottimo Beccaccioli in versione leghista militante con tanto di camicia verde) è in crisi a causa delle tante incomprensioni tra i coniugi. La loro figlia, Sabina, subisce tantissimo il disagio che vive in casa, tanto da non riuscire a parlare correttamente (cioè da non riuscire a comunicare con il mondo). Sabina parla al contrario: non riesce a ritrovarsi nel mondo dei genitori, e vorrebbe un mondo diverso, in cui si agisce in maniera del tutto contraria, in cui non si pensa solo all'egoismo, ma all'amore e al sacrificio.
Svevo invece non è mai riuscito a trovare l'amore in una donna, e ha deciso di cercarlo in un uomo, Andrea (Corrado Fabrizi in versione femminile).

Ciò che risale subito agli occhi è l'incapacità dei due figli nel riuscire a creare una vera famiglia come quella che sono stati capaci di vivere i genitori. Questi genitori hanno dato l'anima e continuano a darla (con tanto denaro, vendendo perfino la casa in cui vivono) per il bene e il futuro dei figli. Ma ciò non viene ricambiato. I figli, nel momento in cui viene chiesto loro di accogliere nelle loro mura i genitori oramai senza dimora, diventano subito restii e inventano le più bieche scuse per evitare la convivenza con loro. L'unica persona che reagisce a tutto ciò è la nipote, Sabina, che non accetta una decisione del genere e invita Svevo e Linda a trovare una soluzione. La soluzione viene trovata, ma senza troppi sacrifici da parte dei due (una ormai consueta solitudine presso le case di riposo, con la promessa di recarsi in visita ogni tanto).
Alla fine, ecco il deus ex machina, Babbo Natale, l'unica persona in grado di ascoltare e sciogliere i problemi degli anziani. Babbo Natale entra nella loro casa e convince Adamo e la moglie ad andare via con lui sulla slitta, in giro per il mondo a portare regali ai bambini.

Insomma, i figli non si sono dimostrati capaci di aiutare i loro genitori. La persona capace di risolvere tale situazione non esiste a questo mondo, in questa società: è un sogno, è un fantasia dei bambini, un mero desiderio. Il nonno Adamo, sognatore e appassionato di astronomia, si ritrova, con la moglie, abbandonato nei propri sogni e soprattutto abbandonato da questa società. La sua fine è il sogno, la sua fine non è con i propri figli.

Viene fatta una fotografia veritiera della nostra società: aldilà delle nuove tendenze sessuali, ecco l'incapacità delle nuove generazioni di tenere insieme un matrimonio in maniera responsabile. Ed a subire le conseguenze sono i poveri della società ("quelli che non producono ricchezza", fa ben dire Alfredo ai propri personaggi), cioè i vecchi e i giovani. Ci si presenta sotto gli occhi una età adulta ormai incapace di mantenere i tradizionali valori ma taccagna al proprio egoismo, disinteressata al sacrificio e all'impegno; una società creata dagli adulti, incapace di risolvere i problemi delle fasce più deboli, perché incapaci di risolvere le loro difficoltà.
Questa commedia fotografa bene la società, ne conosce nel profondo i mali che la affliggono, ma non tenta con tutte le forze di risolverli. Se c'è un neo (e di neo si tratta, visto l'apprezzato impegno e il lavoro degli attori per salvaguardare negli anni il gusto del teatro e della commedia maglianese, straripante di battute ironiche e goliardiche) questo neo è, a mio modesto giudizio, la rinuncia a combattere per ciò in cui si crede. In che senso? Mi spiego meglio.

Io credo che il teatro sia un luogo dove i sogni comandano e dove a volte i sogni si possono avverare. Il teatro è, per chi lo fa, un luogo dove almeno in finzione può cambiare qualcosa, dove la realtà non vince. In questo caso, in "Adamo", la realtà ha vinto. L'analisi precisa e purtroppo reale di questa società non ha portato a nulla. Il teatro avrebbe avuto la possibilità di dire: "Questa è la realtà, questa realtà non ci piace: almeno in teatro vogliamo che le cose finiscano in un altro modo". Svevo e Linda avrebbero potuto impegnarsi con tutte le forze per accogliere i genitori e per costruire una famiglia simile a quella dei genitori. Invece no: anche nel teatro, come nel giornalismo, come in una discussione in piazza, tutto è rimasto al "questa è la realtà. Prendiamone atto". Il finale malinconico di questa commedia non c'ha fatto sperare in un cambiamento; c'ha fatto solo vergognare della nostra società, e accettandola così com'è, seppur a malincuore.
Il Babbo Natale, deus ex machina dell'antica commedia plautina, non si è rivelato tale: non ha risolto i problemi così come sperava l'auditorio. Per assurdo, addirittura, la lettura del personaggio potrebbe essere interpretata come quella di colui che determina "l'eutanasia" del matrimonio, la dolce (?) fine di esso.
Il messaggio che pertanto se ne ricava è quello di un'assenza di difesa dei valori del matrimonio; e questo, non lo escludo, ha potuto lasciare in parte del pubblico presente un retrogusto di amarezza.
Se l'autore della commedia desiderava trasmetterci tale impressione, c'è sicuramente riuscito.

Niccolò

15 commenti:

Anonimo ha detto...

ottima recensione.
approvo toto corde.
Comunque bravo Alfredo e bravi gli attori.

Anonimo ha detto...

Una recensione davvero ben fatta e un commento profondo che analizza fino in fondo il messaggio che, chi ha visto la commedia, ha potuto ricavare. Una analisi meticolosa che pone l'accento sulla perdita dei valori che pervade questa società. primo tra tutti, il matrimonio sul quale poggiano inevitabilmente anche altri principi. Tuttavia, pur condividendo l'analisi, trovo che la severità con cui Niccolò giudica il finale sia un poò forzato. Chiaramente la nostra società è ormai incapace di reagire e forse nemmeno si impegna a farlo. Così i due figli di Adamo non si sforzano per superare le difficoltà ed offrire quindi ai loro genitori la serenità dei loro ultimi anni. Del resto è evidente il sacrificio di Adamo e Novella finalizzato solo ed esclusivamente al bene dei figli. Tutto ciò traspare con tutta evidenza in tutta il dipanarsi della storia e lascia veramente tristi la vigliacca rassegnazione dei due figli incapaci di restituire anche in piccola parte le rinunce ed i sacrifici che hanno fatto per loro i genitori. E' vero: il teatro pùò farci sognare e trovare soluzioni anche quando non ce ne sono. Ma il teatro può e deve anche farci fare i conti con la realtà. Una realtà che spesso non ci piace e non piace soprattutto a noi di 50 anni ma che spesso i giovani accettano perfino con noncuranza. In questo caso alfredo ci ha restituito questa triste raltà con una metafora dolce e triste allo stesso tempo che ha saputo trasformare la consapevolezza della realtà in una speranza. Quel Babbo Natale rappresenta per noi (non più giovani) ancora una volta il sogno che avevamo da bambini quando ancora incoscienti gli scrivevamo per affidargli i nostri propositi, per chiedergli quello che avremmo voluto. Allo stesso modo Adamo e Novella se ne sono andati con il loro sogno prima ancora che il cinismo e l'egoismo dei figli lo facesse infrangere e naufragare definitivamente.

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe parlare di Adamo intorno ad un tavolo, davanti a un bicchiere di vino... magari in una osteria che non c'è più..Comunque mi adeguo ed adatto, a questo nuovo mezzo di comunicazione,per me un pò ostico,ma ormai indispensabile ed inevitabile.
Quando scrivo un testo non mi pongo il problema di dare un messaggio,non mi ritengo in grado di farlo, ma l'obiettivo di suscitare emozioni.Mi sento soddisfatto quando quello che provo, sento,lo prova anche il pubblico. Ma visto che ogni cosa vuole la sua spiegazione,provero' a darla, rispondendo al post di Nicco.Non credo che il teatro, debba dare delle risposte su come dovrebbe essere la nostra vita, sui nostri rapporti con gli interpreti che di essa ne fanno una storia unica.Il teatro ci dà una parentesi nel quotidiano,un momento dove,stando al gioco delle parti,tra chi sta sul palco e chi siede in platea,si apre un flusso di emozioni in un senso e nell'altro. L'attore trasmette, lo spettatore assorbe e rimanda con l'emozione che prova, una risposta.Tutto quì.E' questo il fascino dello spettacolo,la magia della finzione,a cui tutti per gioco partecipano.Proverò ora a dare il mio significato alla storia,ma da spettatore,giacchè dalla parte di chi la scritta ,come detto, non me ne sono preoccupato affatto. Il ruolo di genitore, si dovrebbe esaurire al momento dell'indipendenza economica e sociale dei figli. I figli hanno il diritto di vivere una loro vita e se questa,come quella di Svevo e Linda,è complicata dagli eventi,non merita intrusioni.L'aiuto si deve dare,incondizionato,a chi lo chiede e in questo caso non è stato chiesto.Se Adamo e Novella fossero stati malati forse la risposta dei figli sarebe stata diversa, ma non lo sono.Non vogliono i genitori,perchè non possono e non debbono. L'una sta per divorziare e l'altro convive con un uomo. Tralascio le considerazioni sui vari matrimoni in crisi,sono inflazionate, ma merita una riflessione la situazione di Svevo ed Andrea. Svevo non è omo ma eterosessuale,per questo da tempo cerca una ragazza e la trova in Andrea,essa si omosessuale.Quando se ne accorge, al momento di sposarla, decide di farsi una vita con "la persona Andrea"prescindendo dalla collocazione sessuale. Per finire Babbo Natale mi sembra una metafora della morte,che vivadio,non è quì, quella brutta cosa a cui siamo abituati a pensare. La morte come sereno rifugio al termine di una vita che è valsa la pena di vivere,lasciando a chi resta un buon ricordo e la responsabilita' di affrontare i problemi che questa rappresentazione ci para davanti. Grazie agli attori,a tutti i collaboratori,a voi spettatori, senza i quali la nostra passione rimarrebbe ad ammuffire sui pezzi di carta, dove queste storie, più o meno bene prendono vita. Alfredo

Unknown ha detto...

Niccolò:

noto con piacere la profondità della discussione e anche l'intervento di Alfredo, più degli altri diretto interessato (sicuramente il tavolo è meglio...per ora accontentiamoci!!).

Non posso che essere d'accordo quando dici che intendi suscitare emozioni: ci sei riuscito, insieme a tutti gli attori.
Non posso tuttavia negare che, sebbene involontariamente, la commedia sia riuscita a inviare dei messaggi all'auditorio.
E nel momento in cui mi accingo a scrivere una "recensione" (parola grande per me, ritengo di non esserne in grado) sono spinto immediatamente a trascrivere non solo le mie sensazioni, ma anche le più intime impressioni lasciatemi dall'opera.

Per quanto riguarda la concezione del teatro, ebbene, quella varia da persona a persona, o per meglio dire, da artista ad artista. Io un'opera non l'ho mai scritta, e forse mai la scriverò, per cui posso limitarmi a prender atto delle diverse interpretazioni che altri fanno del teatro. Siano esse da me più o meno condivise.

In fondo il teatro può plasmarsi a molteplici scopi, ognuno non meno valido degli altri. Il mio scopo, testé detto, è lanciare un messaggio. Ma ripeto, è il mio scopo.
In questo caso Alfredo ne ha avuto un altro, e conoscerlo può aiutarci e aiutarmi a comprendere più a fondo quest'opera.

Discutiamo sul significato che tu dai alla storia.
Il genitore. Ritengo che il ruolo del genitore non si debba esaurire DEL TUTTO nel momento dell'indipendenza economica e sociale dei figli. Il ruolo del genitore, a mio modesto parere, è un ruolo che non si limita a supporto economico o sociale, ma che copre anche altre figure come quella di guida per la vita, di supporto morale, di condivisione delle sofferenze. Il ruolo del genitore, sebbene sia innegabile che diminuisca sensibilmente nel momento dell'indipendenza economica e sociale dei figli, continua ad essere sempre presente.
Ciononostante, è vero che da parte dei genitori c'è stata una intrusione nella vita dei figli, e questa intrusione non è stata chiesta.
Ma ciò non giustifica la reazione dei figli che avrebbero voluto abbandonare i genitori nella casa di riposo. I figli avrebbero potuto benissimo impiegare quei soldi per comprare loro una nuova dimora, anche se più piccola.

Per quanto riguarda invece la questione "Andrea", tu dici che mon importa l'identità sessuale che si ha, ciò che importa è che ci si ami.
Ebbene, ammesso che l'amore omosessuale abbia la stessa durata, la stessa passione e la stessa qualità di una coppia eterosessuale (sicuramente non avrà le stesse conseguenze, vista la ontologica incapacità omosessuale a generare nuova vita) se ci si limita a dire che due persone che si vogliono bene, anche se omosessuali, possono vivere la loro vita insieme, mi trovi d'accordo. Ma se si intende dire che la condizione di un uomo e una donna sia uguale a quella di due uomini o due donne (e tutte le conseguenze legali che ne possono seguire) allora non sono d'accordo. Ma questo è un altro lungo discorso.

Per il rapporto Babbonatale-morte, molto influisce sicuramente la propria concezione religiosa e della vita.

Per questo il teatro porta a discutere, per questo il teatro porta a lanciare, secondo me, dei messaggi. Persone diverse vedono una stessa cosa, l'opera è la stessa ma essa viene interpretata in maniera differente da ognuno. E il confronto tra queste interpretazioni genera ciò che stiamo facendo. Ammirare un'opera così ben fatta e così ben interpretata dagli attori induce sicuramente tutti a cercare quel qualcosa in più che, forse senza volerlo, è nascosto tra le righe, o meglio, tra le battute.

Niccolò

Anonimo ha detto...

Bello, veramente bello stare a discutere di cose diverse da quelle a cui siamo ormai fin troppo abituati. Un tema appassionante quello che Adamo ci ha lasciato sul quale, ha ragione Alfredo, sarebbe eccezionale parlarne di fronte ad una buona bottiglia e magari anche in una di quelle fumose osterie che non ci sono più! Ma questa è già un'altra storia...

Anonimo ha detto...

Caro Nicco ti sei mai chiesto perchè i grandi della storia non avevano una famiglia propria? Perchè Gesù non ha avuto figli? Perchè Francesco non li ha avuti...perchè Socrate li ha avuti... ma nel momento di bere la cicuta, ha ordinato che fossero portati via insieme alla madre, per non sentirli tutti piagnucolare?Solo dopo si lasciò andare a quelle parole, che sono forse tra le più belle dette da un essere umano, prima di morire? Perchè consideravano i figli degli altri come fossero i propri.L'amore che questi auspicavano non era fra due esseri legati da consanguineita'o da compatibilità sessuale,ma amore e basta.Il compito dei genitori è quello di educare i propri figli,quello di "..guidarli nella vita"ma fino a che questi non avranno una loro autonomia,sociale,affettiva,economica,psichica ecc... poi scomparire...dar fiducia, al loro essere uomini, capaci di guidare da soli questo carro dell'esistenza. Certo possono attaccare i cavalli...controllare i mozzi delle ruote...ma debbono passare le redini il prima possibile... dare il via ...poi aspettare lì in disparte...osservare, magari con trepidazione la corsa che questi stanno facendo...pronti, sul ciglio della strada a soccorrerli e a gioire, nel momento in cui taglieranno il traguardo...ma il loro...in quanto il nostro se è stato tagliato,lo è stato da un pezzo.Alfredo.

Anonimo ha detto...

Caro anonimo Alfredo. Questo ragionamento nasconde la voglia matta di mettere i remi in barca e abdicare al ruolo di genitore. E' un andazzo che ha origine soprattutto dagli influssi deleteri delle ideologie di questo secolo. Si fa della famiglia una lettura caotica nella quale i ruoli e le funzioni sono confusi, capovolti o svuotati di ogni contenuto. Ci sono famiglie nelle quali se noin foisse il DNA e i riferimenti anagrafici sarebbe ben difficile riconoscere chi sia il padre, chi la madre, chi il figlio. Un modello anarchico che ha prodotto uno sfascio completo un disorientamento totale nelle giovani coppie, Spesso giovani sposi arrivano a ricoprire il compito di genitori nella più totale mancanza di punti di riferimento solido e serio. Si improvvisano adottanso linee spesso deboli manifestando fin dall'inizio una rinuncia all'assunzione di responsabilità dell'educazione. Questo vuoto può essere descritto da una serie di slogan che sono diventati (purtroppo, dico io) il vademecum per molti genitori del terzo millennio:
1. Mio figlio deve fare le sue scelte.
2. mio figlio è fatto così, inutile cercare di cambiarlo;
3. mio figlio è troppo piccolo per ricevere comandi e divieti: chi sono io per dirgli che cosa deve fare?
4. mio figlio ormai è troppo grande per ricevere comandi e divieti: chi sono io per dirgli che cosa deve fare?
E lo sfascio prosegue e cresce con progressione geometrica, si moltiplica per ogni figlio generato.

Anonimo ha detto...

Che ci sia una generale perdita dei valori, è innegabile. Che alcuni valori lo siano in modo assoluto è però altrettanto certo. Attribuire la responsabilità delle negatività che conosciamo alla famiglia è spesso comodo e ci esime da tante altre colpe che pure abbiamo come collettività, come cittadini. Conosco famiglie i cui genitori non costituiscono certo un esempio, eppure i figli sono uomini esemplari e viceversa. Pensare che un pesimo genitore possa imporsi come consiglia l'anziano per restituire alla famiglia quei valori di cui parla, mi sembra un pessimo auspicio. Allo stesso modo un figlio che faccia continuamente affidamento sulle possibilità dei genitori, non credo possa essere mai un uomo completo.

Anonimo ha detto...

...Che alcuni valori lo siano in modo assoluto è però altrettanto certo...

Scusate: la frase corretta è questa.
Che alcuni valori siano tali in modo assoluto, non è però altrettanto certo.

Anonimo ha detto...

non ho assolutaente parlato di imposizione, voglio solo dire che non bisogna abdicare alla propria funzione di genitore. Parlare con i figli, seguirli e non demandare ad altri la loro educazione sia essa la scuola, la palestra il calcio la tv e chi altro..... Ho delle responsabilità perché sono padre e allora, magari a malincuore, correggere la rotta. Facciamo un piccolo esame di coscienza quanti a prenzo o a cena spengono la televisione e parlano con i figli della giornata appena trascorsa, zitto devo vedere il telegiornale, poi cominciano i cartoni.....e così via. Un po' di fermezza non fa male, serve anche a temprare il carattere, a digerire anche le sconfitte.

Unknown ha detto...

Niccolò:

per l'anonimo. Non sono d'accordo. Esistono valori in maniera assoluta. Esistono verità assolute.

Forse intendevi dire che non bisogna assolutizzare alcune virtù (per cui la bellezza, se eccessiva, diventa edonismo; la generosità diventa prodigalità ecc.)

Anonymous ha detto...

...Che alcuni valori lo siano in modo assoluto è però altrettanto certo...

Scusate: la frase corretta è questa.
Che alcuni valori siano tali in modo assoluto, non è però altrettanto certo.

Anonymous ha detto...

Che ci sia una generale perdita dei valori, è innegabile. Che alcuni valori lo siano in modo assoluto è però altrettanto certo. Attribuire la responsabilità delle negatività che conosciamo alla famiglia è spesso comodo e ci esime da tante altre colpe che pure abbiamo come collettività, come cittadini. Conosco famiglie i cui genitori non costituiscono certo un esempio, eppure i figli sono uomini esemplari e viceversa. Pensare che un pesimo genitore possa imporsi come consiglia l'anziano per restituire alla famiglia quei valori di cui parla, mi sembra un pessimo auspicio. Allo stesso modo un figlio che faccia continuamente affidamento sulle possibilità dei genitori, non credo possa essere mai un uomo completo.

anziano ha detto...

non ho assolutaente parlato di imposizione, voglio solo dire che non bisogna abdicare alla propria funzione di genitore. Parlare con i figli, seguirli e non demandare ad altri la loro educazione sia essa la scuola, la palestra il calcio la tv e chi altro..... Ho delle responsabilità perché sono padre e allora, magari a malincuore, correggere la rotta. Facciamo un piccolo esame di coscienza quanti a prenzo o a cena spengono la televisione e parlano con i figli della giornata appena trascorsa, zitto devo vedere il telegiornale, poi cominciano i cartoni.....e così via. Un po' di fermezza non fa male, serve anche a temprare il carattere, a digerire anche le sconfitte.

Anonymous ha detto...

Caro Nicco ti sei mai chiesto perchè i grandi della storia non avevano una famiglia propria? Perchè Gesù non ha avuto figli? Perchè Francesco non li ha avuti...perchè Socrate li ha avuti... ma nel momento di bere la cicuta, ha ordinato che fossero portati via insieme alla madre, per non sentirli tutti piagnucolare?Solo dopo si lasciò andare a quelle parole, che sono forse tra le più belle dette da un essere umano, prima di morire? Perchè consideravano i figli degli altri come fossero i propri.L'amore che questi auspicavano non era fra due esseri legati da consanguineita'o da compatibilità sessuale,ma amore e basta.Il compito dei genitori è quello di educare i propri figli,quello di "..guidarli nella vita"ma fino a che questi non avranno una loro autonomia,sociale,affettiva,economica,psichica ecc... poi scomparire...dar fiducia, al loro essere uomini, capaci di guidare da soli questo carro dell'esistenza. Certo possono attaccare i cavalli...controllare i mozzi delle ruote...ma debbono passare le redini il prima possibile... dare il via ...poi aspettare lì in disparte...osservare, magari con trepidazione la corsa che questi stanno facendo...pronti, sul ciglio della strada a soccorrerli e a gioire, nel momento in cui taglieranno il traguardo...ma il loro...in quanto il nostro se è stato tagliato,lo è stato da un pezzo.Alfredo.

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