In provincia di Rieti la vicenda dell'impianto di compostaggio autorizzato a sorgere accanto a un'importante impresa avicola preesistente. Le battaglie legali e l'allarme sull'acqua dei pozzi.
ROMA - Se non il buon senso, piani regolatori accorti dovrebbero considerare la particolare natura delle aziende di carne e la loro influenza su ambiente e umanità. Non sempre è così e ci s'imbatte in casi paradossali, come quello del comune di Magliano Sabina, provincia di Rieti, che accoglie un allevamento intensivo di tacchini posto di fianco a una discarica di rifiuti dichiarati altamente tossici, nonché un mattatoio fra le case del centro cittadino.
Attiva da parecchi anni con cambi di gestione, l'impresa avicola preesisteva all'impianto di compostaggio che la Masan fu incredibilmente autorizzata a realizzare nel terreno confinante. La struttura divenne tristemente famosa poiché un'indagine dimostrò la presenza di rifiuti pericolosi trasformati in concime che compiacenti aziende agricole biologiche smaltivano a pagamento sulle proprie coltivazioni. Nel 2004 fu posta sotto sequestro per volontà della Procura e l'incidente probatorio dimostrò che nel sito della Masan, società che risultava infiltrata da personaggi equivoci fra cui membri del clan dei Casalesi, finivano residui di concerie e ospedali, derivati dall'abbattimento dei fumi di acciaieria, fanghi con presenza di idrocarburi e di origine industriale e scarti di fibre tessili di origine animale. Le perizie sull'acqua effettuate dal Tribunale di Rieti rivelarono subito che quasi tutti i pozzi della zona, in un raggio piuttosto vasto, erano compromessi da metalli pesanti chiaramente riconducibili all'impianto e destinati, col tempo, a penetrare nelle falde più profonde aumentando l'inquinamento.
Da allora, a lungo e invano, cittadini e associazioni hanno protestato per la contiguità fra la discarica e i capannoni, ricoperti in parte di eternit, dove si ricoverano decine di migliaia di tacchini. Al riguardo, di recente, anche l'Enpa-Ente nazionale protezione animali ha richiesto un accesso agli atti. "Ormai ho rinunciato a vederci chiaro", racconta un giovane della zona, "ma abbiamo assistito a morie sospette di animali, ammucchiati fuori in pile di corpi e ossa. E ancora ne vediamo, prima che vengano portati via. Il pozzo dell'allevamento pesca proprio accanto all'impianto di compost, chiuso grazie al sequestro giudiziario ma con una quantità di rifiuti pericolosi ancora lì, sul terreno, coperti e ammassati. Inoltre, a tutt'oggi manca un serio censimento di questi depositi, che potrebbero essere in parte sotterrati e ricoperti di cemento".
Per un certo periodo la battaglia va avanti a suon di denunce, interrogazioni, ricorsi al Tar. Nel gennaio 2006 la parlamentare Loredana De Petris presenta un'interrogazione in cui chiede di verificare se esistano o meno le condizioni per poter immettere sul mercato le carni provenienti da questo allevamento, visto che le analisi fornite dalla Asl per dimostrare la salubrità delle acque sono prodotte dai laboratori della ditta Amadori, famosa nel commercio del pollame e legata all'impresa da un contratto. La risposta del Ministero della Salute è evasiva.
"L'allevamento rispetta in modo impeccabile ogni norma, l'autocertificazione delle acque da parte di un'impresa seria come Amadori è più che attendibile, ma siamo confortati anche dal buon esito delle perizie dell'Arpa Lazio", risponde Massimo Di Tommaso, incaricato della Asl competente, alle istanze dubbiose. Il gestore dell'attività, Francesco Martini, specifica: "Io qui sono in affitto solo da qualche anno. Ricordo che tempo fa fu proposto al proprietario della struttura un cambio di destinazione, ma poi non se ne fece niente: il Comune non era disposto a contribuire".
"Amministro appena dal 2009, la Asl mi ha sempre confermato che l'allevamento opera in regola", dichiara Alfredo Graziani, sindaco di Magliano Sabina, che in pieno centro urbano, come s'è detto, vanta pure la presenza di un mattatoio municipale - industria insalubre di prima classe - protestato dai cittadini fin dai primi anni 90. A febbraio Graziani ha deliberato di affidarne la gestione a una società esterna, per mezzo di una gara d'appalto aperta al miglior offerente, incaricando una società napoletana di pubblicare il bando sulla Gazzetta Ufficiale.
"Sentiamo gridare gli animali anche di notte, con l'acqua di scarico scorrono lungo la strada rivoli di sangue, si ammassano escrementi; ne siamo sconvolti, io e i miei bambini" racconta un abitante, e una ragazza aggiunge: "Ho visto scaricare mucche riottose a colpi di rostro, ferite e terrorizzate: quando ho provato a intromettermi poco ci mancava che gli operai colpissero anche me".
Benché le norme vigenti prevedano che i macelli siano collocati a adeguata distanza dai centri abitati "per spostare questa struttura, indispensabile agli allevatori di zona, servirebbero 600mila euro almeno: non li abbiamo", spiega il sindaco Graziani. "Per ora, l'unica soluzione è una civile convivenza. E poi, qualche casa lì intorno è stata costruita anche successivamente al macello; i proprietari avrebbero potuto scegliere altrimenti". O, forse, le autorità non avrebbero dovuto permetterlo? Fatto sta che in un attestato datato aprile 2007, emesso dal Corpo Forestale dello Stato a seguito dell'esposto di un cittadino, si legge che il mattatoio non è più in linea con la normativa comunitaria e la sua presenza "anacronistica e inadeguata ha scadenza nell'anno 2011".