|
"Contro una macchina statale elefantiaca
Libere idee su internet che partono da un mouse" |
Il vero
problema strutturale dell'Italia è la presenza di ben
due enti intermedi tra lo Stato centrale e la Municipalità locale: le
Regioni e le
Province. Fino al 1970 esistevano solo le province, figura tipica dello stato accentrato ottocentesco e fascista, che per controllare il territorio dislocava nei territori alcuni delegati dei ministeri più importanti. Spesso la suddivisione provinciale era di natura prettamente utilitaristica, per facilitare l'efficienza gestionale. Con la costituzione vengono previste anche le Regioni che, per incapacità politica, vengono istituite più di 20 anni dopo. Ma mentre ci si prometteva di abolire le Province, che sarebbero state sostituite dall'entrata in funzione delle Regioni, esse rimasero.
Il tempo passa, poiché nei trent'anni successivi mai nessun ente europeo ci venne a dire (oppure ce lo disse ma noi non ascoltammo) di diminuire la spesa pubblica, che alimentava oltremodo i bilanci di questi due enti. Arriva la moneta unica, e l'Italia non può più far uso (
rectius: abuso) della svalutazione della propria moneta, ed è costretta a gestire un bilancio come ogni ragioniere dovrebbe fare, ossia in pareggio. Ma il pareggio era (ed è) ancora impossibile, visto che venivamo da anni di vacche grasse, e da decenni di debito pubblico in aumento continuo.
Oggi le cose sono cambiate (o sicuramente dovranno cambiare). La moneta unica e la crisi economica ha imposto al paese di
ridurre le spese e
razionalizzare i servizi. Ed ecco che proprio oggi ritorna in auge l'argomento
clou: la presenza (necessaria?) di due enti intermedi, situazione di cui l'Italia da 1861 al 1970 ha fatto a meno.
Il motivo che ci spinge a parlare di razionalizzazione di sprechi, di abolizione di enti inutili è proprio questo tempo attuale di vacche magre. E se vogliamo davvero evitare il
default, il fallimento finanziario del sistema-paese, forse qualche riduzione dovremmo farla.
Innanzitutto dovremo
tornare a quel sistema ad unico ente intermedio con cui l'Italia ha convissuto a lungo. Ciò significa l'eliminazione delle Province o delle Regioni. Quale eliminare? Andiamo a sorteggio o a strepito popolare? Forse la cosa più conveniente sarebbe proprio analizzare nel dettaglio le conseguenze dell'eventuale abolizione dell'una o dell'altra. La realtà che vediamo è che mentre le province sono troppo piccole e vicine, le regioni (alcune regioni) sono già troppo grandi e lontane. L'Italia, sebbene una e indivisibile, non è tutta uguale, e le esigenze di un territorio non corrispondono alle esigenze di un altro.
Facciamo degli esempi. Abolire le province in Valle d'Aosta non ha significato: non ci sono, o meglio, le sue funzioni sono già gestite dalla Regione. Abolire le province in Trentino Alto Adige significherebbe rivolta popolare, poiché lì le vere funzioni sono svolte dalle Province (o meglio, Province Autonome) e sarebbe più opportuno abolire la Regione. Per il Molise, l'Umbria e la Basilicata, le province o si aboliscono entrambe (ne hanno solo due ciascuna) o altrimenti avrebbero dei doppioni del tipo Provincia di Campobasso e Regione Molise che insisterebbero sullo stesso territorio.
Cosa fare quindi? Decidere di
abolire un ente intermedio, ma
variando da situazione a situazione. Come già indicato nei casi precedenti, bisognerebbe seguire le esigenze dei territori. E per le altre regioni? Effettivamente esistono territori in cui l'eventuale eliminazione delle province significherebbe accentramento massimo, e l'abolizione della regione comporterebbe uno smembramento eccessivo. E allora perché non cercare una via di mezzo, il giusto compromesso? Una "pro-gione", una "re-vincia" potrebbero essere la soluzione: cioè si eliminano le province, ma si creano Regioni a dimensioni ridotte, più vicine ai cittadini (o se preferite, si eliminano le Regioni, ma si uniscono le province in Province più grandi). Provare per credere. Se la Puglia è troppo grande per essere sola e le province sono troppo piccole per essere rappresentative, non è vero che una Puglia divisa in Puglia e Salento avrebbe gli stessi problemi. Così come si potrebbe attuale lo stesso discorso con l'Emilia, e la Romagna, non insieme ma divise. Stesso discorso per la Toscana e la Maremma, la Campania ed il Cilento etc. Insomma, la giusta suddivisione che permetterebbe rappresentatività, servizi e legame col territorio. In poche parole, si provvederebbe alla abolizione della maggior parte delle province, ma garantendo la presenza di un ente intermedio forte e vicino. In questo modo gli uffici decentrati dello stato non verrebbero automaticamente distribuiti
sic et simpliciter con la presenza di un capoluogo, ma verrebbero distribuiti secondo necessità da ogni territorio. Le funzioni oggi divise tra Provincia e Regione verrebbero attribuite all'unico ente intermedio presente, e le funzioni provinciali di basso livello andrebbero ai Comuni.
Ma questa mossa basterebbe ad avere una sana riforma strutturale del territorio? No, ci sono altre due questioni rilevanti, quella delle città metropolitane e dell'accorpamento dei piccoli comuni, riassunte nei seguenti punti, insieme ad una summa della prima questione appena affrontata.
I dipendenti delle province non saranno licenziati, bensì verranno integrati negli altri impieghi pubblici; le funzioni delle province verranno affidate alle regioni e ai comuni (per il caso della Regione del Trentino alto adige, non saranno abolite le province, ma la regione, che ha pochi compiti, e le province del Trentino e l'Alto Adige diverranno regioni - e basta con le Regioni a statuto speciale!). Gli uffici decentrati dello Stato non coincideranno per forza di cosa con il vecchio capoluogo ma verranno distribuiti sulla base delle vere esigenze territoriali.
Questi comuni non verranno eliminati, ma verranno accorpati con i comuni limitrofi, per formare un comune più grande con popolazione superiore a 500 abitanti, in modo che i costi della politica e dell'amministrazione verranno decisamente diminuiti. L'identità dei comuni accorpati verrà mantenuta, mantenendo ciascuno il proprio gonfalone, il titolo di Paese e la possibilità di essere circoscrizione autonoma nel nuovo comune.
Il nuovo comune avrà in tal modo molta più rappresentatività in sede regionale, poiché sarà espressione di una popolazione maggiore. Il nome del nuovo comune potrà essere costituito dall'affiancamento dei nomi preesistenti (es: Guidonia-Montecelio) o potrà essere nuovo, in riferimento alla topografia dei luoghi su cui insistono i comuni.
Sono previste da 10 anni nella Costituzione Italiana ma ancora non sono realizzate. I comuni con più di 800mila abitanti devono costituirsi in Città metropolitane. I comuni territorialmente contigui possono scegliere con delibera comunale se farne parte. Le città metropolitane, così costituite, ESCONO DALLA REGIONE di origine e costituiscono un territorio distaccato, la CITTA' METROPOLITANA, con poteri identici a quelli della regione. In questo modo le esigenze della popolazione periferica non verrà frustrata da quelle della metropoli, e al contempo le necessità delle metropoli potranno essere soddisfatte senza le contestazioni levate dai territori periferici.
Le Regioni il cui capoluogo è divenuto Città metropolitana indicheranno un nuovo capoluogo, che non necessariamente deve corrispondere alla seconda città più popolosa, ma che deve invece trovarsi in una posizione centrale nella Regione, facilmente raggiungibile da tutti i cittadini. Indi per cui capoluogo può essere anche un comune di 10mila abitanti, se in grado di poter assicurare gli spazi necessari per gli uffici centrali.