Quello che non doveva succedere è successo. L'ospedale è stato cancellato. Il nostro territorio vede perdere un'ulteriore ricchezza, il nosocomio Marini, giunto ai giorni nostri grazie alla iniziale donazione di un maglianese, che aveva i soldi, e che ha voluto donarli ai propri compaesani.
Ci sono state varie evoluzioni: lo spostamento dell'ospedale, il cambiamento della gestione del servizio sanitario dalle suore agli addetti statali, il passaggio di proprietà alla Azienda sanitaria locale. E soprattutto, dopo l'incursione della politica partitica nella sanità, che ha gestito le nomine (e le gestisce ancora dove gli ospedali rimangono - vedi questi giorni a Rieti); dopo la parziale perdita del senso profondo del mestiere del medico (solo per alcuni lavoratori, non certo per tutti, ma in modo rilevante), passato, dispiace dirlo, da quella che è una vera e propria missione (una vocazione, quasi sacra) ad una mera mansione professionale, con orari determinati e affievolimento del rapporto con il paziente (continuo a ribadire - solo per una parte della categoria); dopo il palese mutamento della sanità nazionale, con la nascita di iperstrutture ospedaliere a pochi chilometri da qui; ebbene, dopo tutto questo, non siamo riusciti a capire, gestire e sfruttare a nostro favore queste occasioni, sottomessi (con nostra strisciante connivenza) alle scelte politiche venute da lontano e che, ieri o oggi o domani, rosse o nere o azzurre o verdi, sarebbero prima o poi arrivate per toglierci quello che abbiamo (vista la situazione economica mondiale - crisi globale che investe tutti i settori, sanità compresa).
L'incapacità dimostrata in passato nel decidere una linea unica e chiara, una settorializzazione dell'ospedale l'ha fatto diventare un ospedale qualsiasi, che al suo interno ha poche specialità da difendere, se non il fatto (non trascurabile) di essere un ospedale. Ma, a quanto pare, questo non basta (almeno per il governo del Lazio e per il Tar del Lazio). A proposito, viste le motivazioni del giudice amministrativo, mi sembra proprio che non ci sia scampo neanche davanti al Consiglio di Stato, dato che le ragioni addotte dalla corte si limitano, molto politicamente-correttamente, a ribadire la discrezionalità in capo al commissario ad acta (e la sua "ragionevolezza" nello spogliare un territorio dal servizio sanitario). D'altronde, non solo il nostro ricorso è stato respinto, ma tutti.
"Forse una maggioranza di un altro colore alla regione, alla provincia o al comune, avrebbe cambiato di molto le cose..." Ma siamo sicuri? Ora il gioco è facile per chi dichiara che lo sapeva, dando la colpa a chi è politicamente e moralmente responsabile di questa sconfitta (e fa anche bene). Ma la questione vera è un'altra: non c'è stata capacità di vedere lontano. Sono mancate prospettive ad ampio respiro, capaci di cogliere quelli che sono i cambiamenti devastanti di questi tempi turbinosi. Ed è questo il compito essenziale di un amministratore. Quello di vedere lontano, di cogliere l'attimo, il treno che solo alcuni riescono a vedere. E vedere lontano non significa i prossimi mesi, neanche i prossimi anni (o la prossima tornata elettorale). No, significa cercare di vedere il prossimo decennio, quella che è Magliano tra 10, tra 20 anni. Sono questi i compiti che ci attendono.
Capire, quindi, quali sono i treni e quali le bufale. Io li butto lì, già li conoscete: fotovoltaico, biogas, Umbria. Treni o bufale?
Niccolò